Grecia, Italia e il puzzle delle riforme

Mercoledì 22 Luglio 2015, 17:09
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Una delle più recenti analisi dell’OECD ("going for growth") - il think tank che Commissione Europea e FMI spesso citano per suggerire riforme - mostra che, negli ultimi quattro anni, la Grecia e, su un periodo temporale più lungo, l'Italia sono tra i Paesi che hanno fatto più riforme (nell’ultimo ventennio l'Italia ha “riformato” quattro o cinque volte la Scuola e l’Università, ad esempio). Ciò però non ha evitato ai due Paesi di ammalarsi di crescita bassa o negativa e di debito pubblico. Perché, allora, le organizzazioni internazionali e la maggioranza degli economisti continuano a sostenere che dalla crisi si esce “riformandosi”, se non esiste alcuna evidenza che le riforme funzionano? Le spiegazioni a questo puzzle sono due e sono entrambe di buon senso: la prima è che le riforme (che pur sempre sono leggi) non necessariamente generano cambiamento; la seconda è che, ancora più ovviamente, non c’è alcuna garanzia che il cambiamento, anche laddove accada, sia per il meglio. Una riforma come quelle (tante) dell’amministrazione pubblica italiana è un esempio di riforma senza cambiamento (sperando che a questo destino sfugga quella che è attualmente in discussione al parlamento): hanno impegnato una montagna di capitale politico e intellettuale di alcuni dei migliori ministri della Repubblica e hanno avuto effetti sui comportamenti dei dipendenti pubblici assolutamente marginali. Le riforme elettorali e delle “forme dello Stato” dell’ultimo decennio appartengono, invece, alle riforme del secondo tipo: ci hanno spostato un una situazione nella quale è diminuita ulteriormente la capacità del sistema di rappresentare i cittadini ed è ulteriormente cresciuta l'inefficienza delle istituzioni e la confusione tra livelli. Il riformismo allora può essere velleitario e diventare esso stesso ideologia? Gli antidoti ci sono. Il primo è cancellare la parola 'riforma' e sostituirla con 'trasformazione' per stabilire, definitivamente, che una legge non basta se non si trova il modo di coinvolgere un numero sufficientemente elevato di persone che fa camminare quella legge. Il secondo è definire, prima di ogni decisione, i miglioramenti che ci aspettiamo e valutare i risultati in maniera da cogliere i legami reali e non immaginati tra scelte e esiti che ne conseguono. Le riforme hanno bisogno di forti dosi di pragmatismo, sperimentazione, adattamento ai contesti: proprio quello che manca a certi diktat europei.
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