Sud , stato imprenditore e democrazia 

Domenica 6 Settembre 2015, 12:31
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Ha ragione Giacomo Vaciago quando ricorda che sono gli investimenti, più della domanda, che possono portare l’economia italiana su una traiettoria di crescita perché sono gli investimenti che incidono in maniera “permanente” sulla produttività.

E che è di obiettivi e non più di previsioni che dovremmo parlare: cioè basta con l'ipertrofia di analisi (puntualmente sbagliate): prendiamoci la responsabilità di cambiare le cose e non solo di osservarle.

Ha ragione ed in un certo senso è un'autocritica - che sottoscrivo interamente - a quanti tra i (molto cosiddetti) economisti si limitano a trastullarsi con modelli econometrci piuttosto stupidi e non si accorgono degli elefanti che ci attraversano la strada.

Ma allora è giusto accettare l’invito al dibattito e capire cosa può esserci dentro la “scatola nera” degli investimenti e come selezionare – considerando che le risorse sono scarse – quelli che hanno, appunto, effetti moltiplicatori più elevati.

Se lo Stato imprenditore è riuscito in alcuni casi (come con Internet) a innescare imponenti processi di innovazione che non sarebbero altrimenti successi, in altri il ritorno è stato molto inferiore o addirittura negativo (e ciò si verifica quando ad essere finanziati sono imprese criminali o progetti che hanno ricadute ambientali devastanti come, spesso, è successo nel Mezzogiorno).

In Italia le metropolitane nelle città sono, ad esempio, un investimento intelligente e, ancora di più, lo sarebbe quello in infrastrutture indispensabili per favorire la circolazione di automobili elettriche o la trasformazione di ogni casa in produttore di energia.

Non basta, allora, dire investimenti. Ed in generale non basta fermarsi alle variabili dell’equazione del Prodotto Interno Lordo separando il dibattito “macro” da quello “micro” (?) sulle tecnologie o sulle città. Le due discussioni – e questo vale anche per quella totalmente quantitativa e astratta sul quantitative easing – andrebbero integrate.

Del resto più che di investimenti, abbiamo – ancora più a monte – bisogno di intelligenza.

C’è qualcuno che arriva a dire che per uscire dalla “stagnazione secolare” nella quale siamo, c’è bisogno niente poco di meno, che di democrazia che in fin dei conti è, ancora, l’unico meccanismo che può costringere lo Stato imprenditore a scegliere con la massima attenzione in quale direzione sparare le poche pallottole che gli sono rimaste a disposizione per indurre crescita. Un dibattito per affrontare il quale ci sarebbe bisogno di visione e pragmatismo e che deve subito cominciare.

E che, in teoria, proprio al Sud d'Italia troverebbe una delle sue applicazioni più concrete. In teoria, appunto.



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