Carcere di Santa Maria Capua Vetere,
nello squadrone anche agenti in pensione

Carcere di Santa Maria Capua Vetere, nello squadrone anche agenti in pensione
di Mary Liguori
Martedì 6 Luglio 2021, 08:30 - Ultimo agg. 17:50
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I picchiatori di Santa Maria Capua Vetere che la faranno franca sono molti più di quelli non identificati benché inseriti nell'elenco recuperato dal Nic dopo i pestaggi. Il pomeriggio del 6 aprile del 2020, durante la spedizione punitiva a sangue freddo al reparto Nilo, non c'erano solo gli agenti del «Gruppo di Supporto agli interventi», istituito con il decreto numero 62 del 9 marzo 2020 dal provveditore Fullone, e che contava su 75 agenti provenienti da Secondigliano e 13 di Avellino e un centinaio di agenti in servizio a Santa Maria Capua Vetere. Oltre i poliziotti non indagati perché impossibile da identificare a causa dei caschi, c'erano anche soggetti che restano, e resteranno, senza un nome benché fossero a volto scoperto. Non rientrano tra le schiere di agenti col casco che manganellano i detenuti, ma in una legione che si compattò in modo naturale dopo l'sos partito dal carcere, quando viene annunciato che di lì a due ore il reparto Nilo, sconvolto da proteste nei giorni precedenti, sarebbe stato oggetto di perquisizione straordinaria. 

«Il tempo delle buone maniere a Santa Maria è finito», si incitavano a vicenda i poliziotti «Spero che prendono tante di quelle mazzate che domani li devo trovare tutti malati». C'erano, quel pomeriggio, i rinforzi chiamati attraverso i gruppi whatsapp «Uniti per Santa Maria» e «Seg. Generale». Tra loro, a quanto pare, agenti in congedo che, partito il tam tam via chat, e poi il passaparola anche a coloro che dei gruppi whatsapp non facevano parte, non si sarebbero tirati indietro e avrebbero risposto presente all'adunanza chiamata dal comandante della penitenziaria casertana, Gaetano Manganelli, ma ordinata dal dirigente della task force, Pasquale Colucci, dopo il nulla osta dal provveditore Antonio Fullone, (quest'ultimo ieri è stato interrogato, ma si è avvalso della facoltà di non rispondere). Uno di quegli agenti, Angelo Bruno, ha inteso difendersi parlando proprio del congedo ottenuto nel 2019, ma ciò non basterà a scagionarlo: i detenuti vittime dei pestaggi lo hanno riconosciuto.

E, da quanto emerge, non era il solo a trovarsi quel giorno in carcere senza averne alcun titolo. C'erano agenti che il 6 aprile figuravano a riposo, per esempio. E soggetti di cui si ignora l'identità e non sembrano neanche poliziotti, stando a cosa indossano e alle armi che usano.

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Oltre i poliziotti colpiti da misura cautelare, cinquantadue, che indossano camicia e pantaloni dell'uniforme, e quelli di cui si ignora l'identità, ma sono membri del gruppo di supporto e calzano tenute antisommossa ed elmetti, altri soggetti s'aggirano per il reparto Nilo con pettorine e cappucci calati sulla fronte e mascherine a coprire il resto del viso. C'è, tra gli altri, un picchiatore che veste abiti civili e usa, per colpire, una mazza di legno. Chi, dunque, ebbe accesso quel pomeriggio al penitenziario? A quanto pare chiunque, esponenti della penitenziaria e agenti in pensione, ebbe notizia dell'imminente perquisizione straordinaria che poi si trasformò in pestaggio massivo. D'altronde, ed emerge dall'interrogatorio reso nei mesi scorsi dalla commissaria Anna Costanzo, in molti potrebbero essere entrati nell'istituto senza nemmeno strisciare il badge. Fantasmi. Ammette, la Costanzo, che varcare la soglia dell'istituto senza identificarsi non era affatto circostanza impossibile. Lei stessa poi quel giorno si trovava in carcere benché fosse a riposo e, a domanda precisa del pm, non esclude che altri agenti possano essere entrati nel penitenziario «senza usare il tesserino». Un blackout totale, saltarono tutte le regole, il cortocircuito non riguardò solo il maldestro tentativo di disattivare le telecamere per non lasciare traccia dei pestaggi, ma anche il libero accesso al carcere in giorni in cui, peraltro, agli agenti era consentito quasi di tutto, incluso, in via del tutto straordinaria, l'uso dei telefonini all'interno dell'istituto, cosa normalmente proibita. Spaccati tutti da ricostruire, di cui pure parlano alcuni degli agenti. «Nessuno si tirò indietro, nei giorni precedenti subimmo molti affronti dai detenuti e Manganelli capo della polizia penitenziaria di Santa Maria, ndr non si decideva a prendere decisioni, né lo fece lo direttrice reggente, Maria Parenti. Quando ci comunicarono che quel pomeriggio ci sarebbe stata la perquisizione, tutti quelli che lo seppero vennero al carcere. Da chi era a riposo, a chi ormai in congedo per motivi vari». Il gip Sergio Enea si sofferma su un soggetto in particolare. «Un agente scrive il giudice che ha firmato le misure allo stato non identificato, alto circa un metro e settanta, capelli folti e scuri, occhiali da vista con montatura scura, il quale ha la particolarità di indossare guanti da bricolage di colore arancione e che, oltre al manganello, usa un bastone di legno marrone». «Appare tra i più attivi, lo si nota per la particolare violenza con cui percuote i detenuti». È solo uno dei picchiatori di cui nessuno sa niente. 

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