Casal di Principe, la lunga marcia colorata: «Adesso farlo è normale»

Corteo di studenti, scout, preti, volontari

La lunga marcia colorata: «Adesso farlo è normale»
La lunga marcia colorata: «Adesso farlo è normale»
di Tina Cioffo
Mercoledì 20 Marzo 2024, 08:06 - Ultimo agg. 09:14
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È partito da piazza Villa, il lungo corteo che ieri mattina ha attraversato Casal di Principe per ricordare don Giuseppe Diana a trent'anni dalla sua uccisione per mano della camorra. Bandiere e striscioni hanno colorato il serpentone umano animato da slogan e canti. Ad attendere il passaggio di studenti, cittadini, scout, volontari, politici e sacerdoti gli uni accanto agli altri lungo il percorso stabilito e accompagnato dalle forze dell'ordine, molti casalesi sull'uscio delle loro abitazioni hanno salutato, fotografato e sorriso. Tante le scuole, che sono arrivate fin dal primo mattino per non perdere un solo istante di quello che per Casal di Principe è un appuntamento fisso per ricordare don Diana e nel suo nome tutte le vittime innocenti della criminalità organizzata.

«È da 30 anni che il 19 marzo oramai lo dedico alla memoria. Abbiamo dovuto faticare ma alla fine ci siamo riusciti, ora marciare è normale», ha detto il sindaco Renato Natale dal palco nel piazzale del cimitero dove la fiumana di gente è arrivata accolta dal coordinatore del Comitato don Peppe Diana, Salvatore Cuoci, durante la lettura di tutti i nomi delle vittime innocenti.

Toccante il momento in cui sono stati letti i nomi di alcune vittime innocenti francesi con una delegazione di familiari arrivati da . «È la mia ultima volta da sindaco, perché oramai sono alla fine del mio secondo mandato ma posso dire con certezza che la mia indennità di servizio è poter guardare la piazza colma di persone in marcia per don Diana. Ai nostri ragazzi abbiamo insegnato a sentire il profumo di libertà e nessuno più potrà farci tornare indietro, certo abbiamo pagato un caro prezzo con l'uccisione di don Peppe e di tutte le altre vittime innocenti ma ora possiamo dire che siamo un popolo vivo, coraggioso e pieno di entusiasmo», ha continuato Natale felice di poter salutare tutti coloro che hanno voluto esserci.

«Il 19 marzo di 30 anni fa, la vita di mio fratello e della mia famiglia fu distrutta ma oggi - ha detto Marisa Diana- mi rendo conto che nulla è andato perso. Certo il dolore privato non si cancella ma l'energia che si respira guardando tanti giovani che scelgono di mettersi in marcia in suo ricordo, è forte. E se mi guardo attorno vedo ogni anno volti nuovi compresi quelli dei più piccoli, come i miei studenti che a don Diana non lo hanno conosciuto ma che hanno imparato a vederlo nelle piccole cose perché è nel dettaglio che abita la coerenza e mio fratello è stato una ventata di freschezza che ancora continua».
In rappresentanza degli studenti, Martina, alunna dell'istituto tecnico Carli di Casal di Principe.
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A chiudere l'intensa mattinata cominciata con la celebrazione della messa delle 7,30 e continuata con la marcia e poi con la visita alla tomba di don Peppe Diana, l'intervento atteso di don Luigi Ciotti presidente dell'associazione nomi e numeri contro le mafie. «Dobbiamo avere il coraggio di capire da dove siamo partiti e dove abbiamo il dovere di arrivare senza trascurare la presenza delle mafie che possono essere meno appariscenti ma non per questo annullate», ha detto don Ciotti e ancora «le mafie ora sono più tecnologiche, transnazionali e c'è il rischio che l'intelligenza artificiale si trasformi in intelligenza criminale. Dobbiamo sentire la responsabilità di proteggere la memoria di chi è stato ucciso senza colpa ed evitare. Alle istituzioni dobbiamo saper riconoscere quando fanno bene e dobbiamo essere spina nel fianco quando perdono la strada maestra». Alla vigilia della giornata nazionale della memoria e dell'impegno che domani si terrà a Roma, don Ciotti ha ricordato il bisogno di tenere salva e pulita l'antimafia sociale diventata in alcune occasioni un marchio usato dagli stessi mafiosi, di superare le disuguaglianze di non colpevolizzare i morti innocenti con leggi che ne impediscono il riconoscimento. «Non basta genuflettersi, per eliminare la malerba bisogna estirparla alla radice» ha concluso il prete salutato con un lungo applauso.
 

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