Annalaura di Luggo racconta il suo percorso artistico nel documentario “We are art through the eyes of Annalaura”

ll documentario "We are art through the eyes of Annalaura"

Annalaura di Luggo racconta il suo percorso artistico nel documentario “We are art through the eyes of Annalaura”
Annalaura di Luggo racconta il suo percorso artistico nel documentario “We are art through the eyes of Annalaura”
di Alessandra Farro
Lunedì 8 Gennaio 2024, 17:18 - Ultimo agg. 19:37
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Pittrice, fotografa, regista: la napoletana Annalaura di Luggo è un’artista a tutto tondo che ha scommesso sulla sua arte, mossa dalla sua sconfinata passione nei confronti della vita e della conoscenza degli esseri umani e dalla sua insaziabile fame di ricerca creativa. L’artista multimediale espone le sue opere sia all’estero che in Italia, impegnandosi costantemente non soltanto nella valorizzazione artistica dei suoi lavori ma anche sociale, come racconta in “We are arte through the eyes of Annalaura”.

Il documentario, girato a Napoli e qualificato per la “consideration” per le nominations agli Oscars 2023 come “Best documentary feature” e “Best original song”, racconta il percorso compiuto dall’artista nella creazione di “Collòculi”, un gigantesco occhio di alluminio riciclato, nella cui pupilla vive l’opera “We are art”, partendo dagli occhi di quattro ragazzi, che confessano il proprio mondo e il superamento delle avversità della vita tra bullismo, discriminazione razziale, cecità, alcool e criminalità.

Come nasce questo progetto?
«Nutrivo il desiderio, avendo lavorato come artista analizzando diverse problematicità dai diritti umani, alla cecità, di creare un processo di inclusione trasversale che mettesse a confronto vari giovani, ponendo lo spettatore di fronte alle difficoltà che i ragazzi attraversano e il modo in cui le affrontano.

Il documentario vuole narrare le tappe del percorso artistico valorizzando le potenzialità degli esseri umani fino alla creazione di un’opera d’arte che rappresenta una spinta ad andare oltre ai propri problemi».

Il racconto parte dagli occhi di quattro ragazzi.
«Diventano l’esempio di come attraverso problematicità diverse si affrontano determinati ostacoli della vita e con quale spirito. In scena troviamo difficoltà serissime e diverse dei quattro. Si tratta di un’esperienza immersiva che mette insieme diversi linguaggi attraverso la videoarte. I ragazzi si sono spogliati dai pregiudizi e dagli stereotipi e hanno liberato la loro identità, che nel mio immaginario è raffigurata dall’esplosione dell’iride umana. Un modo per immedesimarsi nelle vite degli altri, anime rese sublimi anche dalla sofferenza umana, tanto che nel secondo atto diventano creature divine».

Gli occhi rappresentano per lei molto artisticamente?
«Io guardo gli occhi come anime spoglie dai pregiudizi. Posso rappresentare pupille fisse o in movimento attraverso il supporto visivo. Racconto in questo modo la capacità di andare oltre le barriere dell’apparenza. Non si tratta d una semplice fotografia: lancio un messaggio ben chiaro, riportare la bellezza di ognuno, univoca e preziosa. Nella mia carriera, ho fotografato circa tremila occhi, cominciando con le star hollywoodiane, come Antonio Banderas. Da lì, poi, ho fotografato gli occhi delle persone comuni, dei ragazzi nel carcere di Nsida per il progetto “Blind vision” e dei giovani a rischio in “Napoli Eden”. Tra tutti gli sguardi catturati, nessun occhio fino ad oggi è mai stato simile a quello di un altro. Siamo tutti unici».

Qual è il suo rapporto con i giovani?
«Talmente importante che ho messo in piedi un anno fa un festival dedicato agli artisti emergenti, il Pluribus Multimedia Fest per dare un’opportunità a chi l’arte la vive sulla pelle come me, quest'anno ci sarà la seconda edizione e le iscrizioni per partecipare alle selezioni del concorso sono già aperte».

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