Napoli capitale dei pezzotti d'arte, la Danae di Tiziano «la più piratata»

La fabbrica della copia a cura di Cristiano Giometti, Loredana Lorizzo e Cinzia Maria Sicca ricostruisce il lavoro dei falsari

La Danae di Tiziano
La Danae di Tiziano
di Ugo Cundari
Mercoledì 1 Novembre 2023, 12:00
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I turisti vogliono la paccottiglia e adorano le copie, consapevoli o meno che si tratti di tali. Vale per Napoli oggi come valeva alcuni secoli fa, quando il Gran Tour portò in città orde di famelici visitatori alla ricerca dell'aneddoto gustoso, della macchietta, della scena a loro uso e consumo: proprio come oggi, insomma, con i vicoli gentrificati, pizzificati, poppellizzati, stereotipati, oleografati..

Tra il Settecento e l'Ottocento, insieme all'ammirazione per mangiaspaghetti e lazzari pronti a tuffarsi nudi in mare per qualche moneta, il globetrotter ricco, tedesco, francese o inglese che fosse, andava anche alla ricerca dell'affarone, che poi era un pacco se non un doppio pacco anzi un contropaccotto, insomma una copia fatta (più o meno) bene di quadri più famosi. Così Napoli diventò la patria dell'esibizione del popolo e dello smercio di dipinti copiati, più o meno dichiarati per tali. Se nel primo caso molto è stato scritto, nel secondo le pubblicazioni sono quasi nulle. A colmare il vuoto ci hanno pensato in La fabbrica della copia (Carocci, pagine 296, euro 32) i curatori Cristiano Giometti, Loredana Lorizzo e Cinzia Maria Sicca

Napoli, nel secolo dell'illuminismo e in quello del romanticismo, fu la capitale del «mercato artistico di pezzi autentici, copie o veri e propri falsi favorito da un variegato mondo di antiquari, mercanti e collezionisti». Un primato per qualche anno condiviso con Firenze. Il faentino Nicola Passeri è stato uno di quegli artisti specializzati nella riproduzione di quadri, in particolare della «Danae» di Tiziano allora come ora conservata al museo di Capodimonte.

Era «la più ricercata, sia per il suo valore pittorico, sia per la gran richiesta di copie che i grand tourists volevano riportare in patria».

E così Passeri, una volta entrato nel giusto giro a Napoli, «si adeguò a un mercato che richiedeva la capacità di mediare i classici rinascimentali, riproponendone soprattutto le iconografie, mostrando altresì come la pratica della copia potesse deragliare e comprendere inserti creativi e non rimanere ancorata al riprodurre il solo sembiante originale, perdendo quelle finalità di studio per far fronte alla necessita della vendita con un espediente che diventò molto in voga».

Alla fine del Settecento arrivò a Napoli l'inglese William Pars, anche lui per copiare l'opera di Tiziano. Fittò un appartamento in vicolo del Canale sulla salita per Capodimonte e lì conobbe il figlio del proprietario di casa che viveva «moltiplicando copie dei bei originali e vendendoli a prezzi bassi ai viaggiatori stranieri», pratica, sottolinea il pittore, «ampiamente diffusa».

Se era facile copiare, e realizzare gli standard bassi dei turisti, non era semplice portare a termine la prima copia. Erano richieste autorizzazioni e passaggi burocratici che neanche il re aveva il potere di scavalcare e per sbloccare i permessi serviva, spesso, una grande raccomandazione, se non una bustarella.

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Quando nel Novecento l'accesso ai musei fu più semplice quelli americani iniziarono a dotarsi di copie perfette da esibire nelle loro gallerie. Nel 1917, l'American Art Association annoverava la direzione del Museo nazionale di Napoli tra «i più eccellenti fornitori di calchi a cui ricorrere».

Poi... poi venne l'arte fotografica e quei quadri ripresero a copiarli solo gli studenti di Belle Arti e i pittori in erba. I finti murales di Maradona? Come business potrebbe andare bene, ma sono scomodi da trasportare. Il mercato del falso preferisce occuparsi di moda, alta o bassa che sia. 

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