Verdi, al San Carlo l'attualità di «Don Carlo»

Un allestimento kolossal e innovativo

Verdi, al San Carlo l'attualità di «Don Carlo»
di Donatella Longobardi
Domenica 20 Novembre 2022, 08:19
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No, non ci sono la foresta di Fontainebleau, le stanze dell'Escorial, il convento di San Giusto. Tutto è evocato. Proiezioni, pezzi di scene che riprendono anche angoli storici di Napoli di ieri e di oggi. La triste storia dell'infante di Spagna e dell'erede dei Valois diventa una storia d'oggi. La storia di un potere che crea terrore e condiziona le vite di tutti i personaggi. Un potere che non è l'inquisizione, come nella Spagna del 500, ma che si identifica con la politica, l'economia, la tecnologia. Claus Guth ha immaginato così il «Don Carlo», l'opera di Verdi che sabato inaugura la stagione del San Carlo, sul podio l'attuale direttore musicale Juraj Valcuha.

Sipario alle 17, Rai5 riprenderà lo spettacolo per trasmetterlo in differita la sera stessa alle 21.15. Versione in 5 atti sulla scia di quella che lo stesso Verdi scrisse per Napoli e in scena nella stagione 1871-72, giusto 150 anni fa. «Abbiamo pensato fosse giusto eseguire i 5 atti in italiano anche in omaggio ad Abbado che aveva riproposto l'opera così, alla Scala, nel 1977. Verdi stesso, che aveva scritto l'opera per Parigi in cinque atti, la tradusse in italiano e la ridusse a quattro atti.

Poi se ne pentì e scelse di non omettere nulla del progetto originario», spiega il sovrintendente Stéphane Lissner presentando la «prima».

Un'apertura di stagione con tanto di parterre di vip, già confermati il ministro della Cultura Sangiuliano e quello degli Esteri, Tajani. E tanta, tanta musica. Cinque ore circa per un'opera che manca dalle scene sancarliane da 21 anni. Uno spettacolo che, annuncia Elias Tzempetonidis, direttore dell'area artistica e casting, «più che ambizioso è una follia, per il gruppo di superstar della lirica messe insieme in modo da rispettare la grande tradizione del San Carlo». Ecco allora Michele Pertusi che sarà Filippo II, Matthew Polenzani Don Carlo, Ailyn Perez Elisabetta di Valois, Elina Garanca la principessa Eboli, mentre nel suolo di Rodrigo si alterneranno Ludovic Tézier e Ernesto Petti. Con loro il coro napoletano diretto da José Luis Basso, altro «protagonista» della vicenda. Un coro che, spiega Basso, «non è solo spettatore ma è una presenza minacciosa e aggressiva in cui si avvertono già le idee musicali per la grande coralità maturate da Verdi e sviluppate quattro anni dopo in Aida».
«Ho cantato l'opera in francese, ora affronto la versione italiana. Qui il carattere di Don Carlo è più forte, più interessante. Non è un eroe e non è un pazzo ma ha vuoti affettivi: è un giovane uomo che ha sofferto la mancanza della madre, morta alla sua nascita. Conosce il padre a sei anni, s'innamora di una ragazza ma lei va in sposa proprio a suo padre. Si ritrova vicino solo l'amico Rodrigo che però lo usa ai suoi fini», nota il tenore americano di origini italiane Polenzani. Per la Perez, al debutto nel ruolo di Elisabetta ma all'attivo tante eroine verdiane, a iniziare da Violetta, Verdi «è la storia del melodramma, interpretarlo qui è una grande responsabilità. Sarò una donna innamorata, vittima dello strapotere maschile cui resta la speranza di riscatto in un'altra vita». Al suo fianco la Eboli, «una donna forte che cerca di sopravvivere in un mondo maschile usando le stesse armi degli uomini per venirne poi sopraffatta», nota la Garanca, già star al Plebiscito con «Carmen» poi applaudita in «Cavalleria rusticana» insieme con Kaufmann.

Un personaggio, Eboli, anch'essa vittima di un «sistema» che non lascia spazio. Un «sistema» che, secondo la regia di Guth, fa capo a Filippo II impersonato dall'unico italiano del cast, Michele Pertusi: «Mai come in questo caso», osserva, «Verdi parla al cuore dell'uomo, l'uomo dei suoi tempi ma anche all'uomo di oggi. Da qui il successo di certe opere che durano negli anni grazie ad una musica sempre al servizio dei sentimenti e delle passioni umane». Lo ricorda Tézier, ascoltato a Napoli negli ultimi tempi anche come Scarpia nella «Tosca» con la Netrebko al Plebiscito: «Le sofferenze delle Fiandre descritte nell'opera possono essere le sofferenze nel Donbass conteso tra Ucraina e Russia», dice il baritono in sintonia con le idee sviluppate da Guth per il suo nuovo allestimento.

Un allestimento che è una sorta di incubo metropolitano, ricorda certe atmosfere rarefatte e eleganti dei film di Bergman, dove passato e presente si incrociano e si accavallano in un mix di segni e culture. «Non amo che le mie regie vengano definite moderne, è stupido», dice Guth: «Io lavoro per far risuonare l'opera negli occhi e nell'anima dello spettatore. Per questo parto sempre da una verità storica ma uso elementi moderni. Don Carlo è un personaggio fragile, incapace di far fronte a ciò che la società esige, un sognatore più vicino al mondo della fantasia che alla realtà. Non modifico la drammaturgia ma ho inserito un personaggio, un nano, un attore che assomiglia ai tanti buffoni di corte dipinti da Velasquez, l'unico libero in grado di dire scomode verità. Anche per questo l'Inquisitore è l'unico in abiti moderni, segno che non ha nulla a che fare con la religione perché oggi la chiesa non è più al centro del potere. Ilpotere è altro».

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