«A proposito di Roberto De Simone», l'omaggio al maestro-stregone

L'anteprima nel foyer dell'Auditorium Rai di Napoli

Roberto De Simone
Roberto De Simone
di Luciano Giannini
Sabato 16 Marzo 2024, 08:30 - Ultimo agg. 17 Marzo, 08:46
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«Napoli è l'unico luogo in Italia in cui il popolo è ancora autenticamente se stesso». Le parole di Pasolini, quasi nell'incipit, sono il giusto viatico per quel che ci apprestiamo a vedere. Nel foyer dell'Auditorium Rai, davanti a una cinquantina di allievi del dipartimento di Scienze sociali della Federico II, si presenta in anteprima il documentario «A proposito di Roberto De Simone», prodotto dal Centro Rai di Napoli, che Rai 5+ manderà in onda stasera - purtroppo alle 23.10 - per il ciclo «Apprendisti stregoni» di Rai Cultura, dedicato al teatro e ai suoi artefici migliori. E De Simone lo è. «Musicista e musicologo, antropologo, psicologo, sociologo, filosofo, regista... Roberto mette insieme tutte le scienze umane», nota nel video Sylvain Bellenger, ex direttore di Capodimonte. E la Rai gli rende omaggio con un documentario esauriente, complesso e denso quanto il suo protagonista. Il merito è dell'autrice e regista, Barbara Napolitano, partenopea doc, un passato da antropologa; e anche dei suoi collaboratori; a cominciare da Nicola Guarino. Grazie a lui, il video si arricchisce grazie all'«arte generativa», in cui le immagini non più nitide del passato, tratte dallo scrigno preziosissimo delle Teche Rai e dall'Archivio storico della canzone napoletana si fondono con quelle, di intelligenza artificiale, generate algoritmicamente. La voce fuori campo del cantautore Giovanni Block serve a confermare l'attualità di un passato, che dovrebbe rendere migliore il presente.

Il resto è De Simone; è il suo percorso d'arte e di ricerca, che non a caso comincia con Pasolini, cui egli dedicò un «Requiem in memoria...», per suggellare un personale legame, la cui materia è «un misto di paganesimo e di religiosità».

Fascinano il cuore le sequenze della Nuova Compagnia di Canto Popolare, dei loro giovani visi; e di Vanessa Redgrave, carismatica Pimentel Fonseca, seguite dalla precisa postilla dell'autore: «Eleonora non ha intenti agiografici, ma vuol mettere in relazione gli accadimenti con la illegittimità di un potere, che manda a morte per ragioni ideologiche». Quindi, «La gatta Cenerentola». Roberto la definisce «fiaba delle fiabe, summa onirica dell'immaginario mediterraneo». E, sulla scena della possessione, precisa: «Le lavandaie la raccontano, non la rappresentano», rimarcando la distanza che il teatro richiede per incarnarsi; «le sorelle, la matrigna, il ballo a corte ci sono, ma si riferiscono ad archetipi magici e religiosi, non sono banali elementi edificanti». La «Gatta» fu uno spartiacque tra la prima fase di ricerca antropologica ed etno-musicale di De Simone e il cammino successivo: «Pensai fosse esaurita l'elaborazione del materiale reperito e mi rivolsi al teatro, mettendo in scena l'immaginario». Ecco, allora, il barocco, Basile, l'Opera, a cominciare da quella buffa; e il recupero, alla luce della contemporaneità colta, della extra-ordinaria tradizione napoletana, Pergolesi e lo «Stabat», Cimarosa, Paisiello e «L'osteria di Marechiaro»... e Vinci, Iommelli, e il conservatorio di San Pietro a Majella, altro scrigno di vivissimo passato.

 

La dotta disquisizione sui castrati lascia intendere l'operazione, perché è impossibile riprodurre stilemi, forme e timbri vocali dell'epoca: «Non conosceremo mai la vera musica di Pergolesi... perciò dobbiamo intervenire». La tradizione diventa, insomma, la radice da cui incamminarsi con l'intento di tradirla - sapientemente - per necessità. Non mancano la mostra dei costumi dei suoi allestimenti; e il fenomeno Maradona, con «Litanie per la scandalosa e magnifica», in cui il trattamento desimoniano si può condensare nell'assonanza tra il cognome del pibe e un nome arcaico: Matalena. Non manca, infine, il pensatore politico, che dal suo «hotel sull'abisso» (direbbe Husserl) contempla «un mondo in perfida regressione», dove «il teatro è ridotto a quelle poche persone che non inseguono il danaro». Infine, da San Martino all'agorà, non manca Napoli, che anche nel documentario è culla di un maestro solitario, geniale, senza eredi. Come lui, il suo genius loci si lamenta, da un hotel sull'abisso. 

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