Alessandro Robecchi, Pesci piccoli: «La televisione dei miracoli? Poveracci truffano poveracci»

«Il decimo capitolo della serie di Monterossi è una matrioska da cui escono finti miracoli e affari loschi»

Una scena dalla fortunata serie tv Monterossi
Una scena dalla fortunata serie tv Monterossi
di Francesco Mannoni
Domenica 28 Gennaio 2024, 08:30 - Ultimo agg. 29 Gennaio, 07:28
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È un noir che attraversa la credulità popolare e la corruzione affaristica Pesci piccoli (Sellerio, pagine 436, euro 16) con cui Alessandro Robecchi prosegue la saga best seller di Carlo Monterossi, ex guru del teletrash arrivato in tv con il volto di Fabrizio Bentivoglio (dopo le prime due stagione non si sa se ce ne sarà una terza). Tra i programmi da lui scritti una in particolare, «Crazy love», condotta dalla vestale del cattivo gusto Flora De Pisis, impazza ora blaterando di un presunto miracolo: la coroncina di un crocifisso s'illumina nel cortile della casa di un prete spretato accudito da una perpetua ex pornostar a Zelo Surrigone, una ventina di chilometri da Milano.

Roba che nemmeno Barbara D'Urso sarebbe riuscita a raccontare senza farsi scappare una risata, Robecchi.
«Il decimo capitolo della serie di Monterossi è una matrioska da cui escono finti miracoli e affari loschi.

Il noir ci consente di raccontare tutto quello che c'è intorno a noi, quello che succede sopra le nostre teste e alle nostre spalle, ma anche e soprattutto la vita dei pesci piccoli, della gente normale che fa fatica a sopravvivere. E Teresa rappresenta quei moltissimi italiani che pur lavorando fanno fatica a mettere insieme il pranzo con la cena».

La Teresa del libro è una donna delle pulizie che, mentre lascia gli uffici della Grandi Opere, a Milano, vicino all'uscita di servizio trova un sacchetto: dentro 65.000 mila euro, un documento relativo a una diga in corso di progettazione in Africa e una chiavetta usb, tutto trafugato nottetempo da ignoti nell'azienda e poi abbandonato. Per la donna, è l'occasione della vita. Ma Teresa e la guardia giurata di turno la notte del furto finiscono nel mirino della Sistemi Integrati, agenzia investigativa di Monterossi e degli amici detective Oscar Falcone e Agatina Cirrielli, incaricati di recuperare il «materiale»: il direttore di Grandi Opere non vuole denunciare il furto alla polizia «forse perché dietro i grandi affari c'è sempre qualcosa di inconfessabile». Durante un pedinamento Carlo salverà Teresa da un borseggiatore innescando un'amicizia con sviluppi sentimentali.

Un thriller senza morti ammazzati, dove gli unici e operativi. cadaveri sono la morale, l'onestà e il rispetto.Monterossi è frizzante, Flora De Pisis sempre più fanatica, «Crazy love» sempre più cagnesco: un ritratto della nostra società?
«Abbiamo davanti gli occhi tutti i giorni esempi di mass media attenti solo ai loro interessi e a fare audience, indice di un telecinismo ridicolo, grottesco e nocivo. Abusare dei buoni sentimenti, della credulità popolare è un trucco semplice, che paga in termini di ascolto, di introiti pubblicitari e di popolarità. Queste trasmissioni vanno avanti perché c'è in tutti noi una componente di voyeurismo, a volte si guardano anche per vedere fin dove arrivano come si guardano i film dell'orrore: la cronaca diventa spettacolo per le masse costruito sulle disgrazie degli altri».

E basta un po' di teletrash per credere nell'incredibile, ovvero nel più bislacco dei miracoli?
«In Italia le Madonne piangono spesso e volentieri. Ma i miracoli non sono mai gratis, qualcuno ci guadagna. Stiamo parlando ancora di pesci piccoli: poveracci che truffano poveracci. Anche i due poliziotti Ghezzi e Carella che corrono dietro a piccole denunce sistemando ingiustizie minuscole ma sempre ingiustizie sono - soppesano una situazione sociale in cui arrangiarsi è una componente essenziale della vita: tutti ci pensano, tutti ci provano, anche se non tutti sono delinquenti. Il piccolo sotterfugio, la piccola truffa è una tentazione molto forte in un momento di povertà crescente».

Sembra giustificare la cricca ricattatoria di cui anche Teresa fa parte, e che fa pensare ai «Soliti ignoti» del film di Monicelli.
«Diciamo che volevo mettere in azione esseri indifesi, vittime di quello che sta succedendo nel lavoro povero. Una donna delle pulizie, un fattorino delle pizze, una casalinga e una guardia giurata: tutta gente che fa molta fatica a campare e che a un certo punto si trova di fronte a un colpo più grande di loro. Se ne rendono conto, lo capiscono benissimo, ma ci provano lo stesso, perché il miraggio del cavarsi fuori da una situazione di precarietà e di bisogno è un richiamo molto forte. Il paragone con i “Soliti ignoti” non mi dispiace per niente. Anche quelli erano piccoli personaggi che tentavano di avere un riscatto, una rivincita».

Il noir così diventa denuncia politica.
«Vorrei che tutti quelli che hanno un lavoro avessero una vita dignitosa. Oggi, in Italia, abbiamo un grosso problema di lavoro povero. Questo non è giusto, non va bene, nel senso che io credo molto nella Repubblica fondata sul lavoro che è il primo articolo della Costituzione, ma credo anche nella dignità del lavoro. Se uno lavora, produce e paga le tasse deve avere una vita dignitosa. Questo in Italia non avviene sempre. Una volta i poveri erano quelli che non lavoravano; oggi invece abbiamo il problema di milioni di persone che pur lavorando, non riescono ad avere una vita dignitosa».

Il suo stile è ironico, urticante, corrosivo.
«Nella vita ci vuole anche un po' di sarcasmo cattivo perché essere pungenti aiuta a sopravvivere. Una frase di Billy Wilder che amo molto dice: Se proprio devi dire la verità, dilla in modo divertente. Credo che saper vedere le assurdità che ci circondano è già un primo passo non dico per risolverle, ma almeno per accorgerci delle ingiustizie. L'assurdo è sempre un po' ridicolo e grottesco, e bisogna evidenziarlo». 

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