Antonio Di Grado, Il vangelo secondo Totò

Una full immersion nel mondo del principe De Curtis

Toto' & Co. celebrati sui muri di Napoli
Toto' & Co. celebrati sui muri di Napoli
di Antonio Saccone
Giovedì 7 Dicembre 2023, 11:00
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Chi si trovi tra le mani il labirintico libro di Antonio Di Grado, Il vangelo secondo Totò (Claudiana editore, pagine 136, euro 14,50), non si lasci ingannare dal titolo, pensando di trovarsi di fronte alla messinscena di una verità evangelica espressa dal grande attore napoletano. In realtà l'indagine, molto elaborata e colma di riferimenti artistico-letterari, porta in primo piano i vangeli della tradizione biblico-teologica, in particolare quello di Marco, all'interno di un ampio orizzonte culturale, nel quale l'implicito protagonista (un Antonio De Curtis che si lascia invadere da Totò) è triturato insieme alla storia dei suoi film, dei suoi intramontabili arzigogoli, del suo prodigioso, iperbolico trasformismo verbale e gestuale, della sua «lunare estraneità» al buon senso del mondo così com'è.

Sappia, dunque, il lettore che dovrà innanzitutto immergersi nello zigzagare dell'autore dentro la prospettiva del Pasolini regista dell'ultimo Totò, del Vittorini di Uomini e no (assimilati alla drastica, irresistibile alternativa di «siamo uomini o caporali?») e di un'infinità di autori italiani e stranieri.

Segnando con una forte sottolineatura la centralità del danaro, Di Grado evoca la demonizzazione operata da Gesù, associandola alla paradossale ricaduta nella filmografia di Totò che, nelle vesti di ladruncolo, truffatore, falsario, evasore ne svaluta la funzione fino a vanificarne del tutto il valore: opportunamente si ricorda l'inganno della «lira di resto» perpetrato ai danni del macellaio in «47 morto che parla».

Ancora nell'ambito della presenza protagonistica dei soldi (per la precisione un grosso pacco di banconote) è menzionato «Totò, Peppino e la malafemmina», in cui la celeberrima lettera, vero capolavoro di pastiche linguistico, si impone «geniale esempio d'irrisione di tutte le scritture vere o finte naïve, da estendere anche a prose e ad anni di molto successivi, dall'analfabetismo scaltramente editato di Terra matta al Camilleri più manierato, quello del riciclatissimo commissario Montalbano». Su questa scia il disoccupato Gennaro Vaccariello con la sua rumorosa famiglia nel film «Il coraggio» diventa un paradossale modello di lotta di classe degli italici anni Cinquanta tra poveri addestrati all'astuzia e una borghesia spendacciona e impettita.

Oltre ai vangeli, singolarmente richiamati per illustrare la variegata e incontenibile pluralità delle maschere di Totò, il ricco percorso tracciato da Di Grado incontra scrittori di varia nazionalità e fisionomia da Montaigne a Savinio, da Maupassant a Sciascia, da Zolla a De Filippo, incrocia personaggi come Philip Marlowe, Maigret, attori come Clark Gable, Marilyn Monroe, Anna Magnani. Il duetto con quest'ultima in «Risate di gioia» riporta alla mente quello inscenato dieci anni prima da Charlie Chaplin e Buster Keaton in «Luci della ribalta». 

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Di Grado non può, alla fine del suo si direbbe inestricabile e continuamente digressivo tracciato, non dichiararsi vinto dall'inafferrabile Totò, che sfugge ad ogni «tentativo di intrappolarlo». Potremmo per questo intendere Totò un «classico» nell'accezione data al termine da Italo Calvino (il riferimento è a testi ma credo non arbitrario estenderlo a personaggi): «un classico... provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso». 

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