La brigantessa boccadirosa nel libro di Pino Aprile

Il debutto nel romanzo storico

Brigantesse
Brigantesse
di Ugo Cundari
Martedì 9 Gennaio 2024, 11:09
4 Minuti di Lettura

Negli ultimi anni gli storici stanno affrontando il tema del brigantaggio da angolazioni più innovative, approfondendo le ragioni degli insorti, spesso meno politicamente legati al semplice rimpianto borbonico, e mettendo anche nella giusta evidenza il contributo fondamentale delle donne, a partire dalla leggendaria Michelina De Cesare. Le brigantesse non furono solo le compagne dei briganti, donne dedite al rifocillamento e alle cure dei ribelli, stafferre. Spesso furono veri e propri capi, investiti dell'autorità di impartire ordini, organizzare agguati, stabilire strategie di attacco e di difesa, ebbero ruoli rimossi dalla storiografia, ufficiale e non, come succederà poi anche nella Resistenza, quasi a ristabilire il fronte del patriarcato anche in caso di ribellione.

Lungo questa scia di nuove ricerche trova spazio, per la prima volta, la fiction, basata sulla figura di una donna brigante, e a firmarla è Pino Aprile, che dopo aver scritto pamphlet provocatori come Terroni e Il Sud puzza, esordisce con il romanzo storico La brigante bambina (Libreria Pienogiorno, pagine 182, euro 17,90).

La trama è semplice. Lei è una boccadirosa, una che si dà con piacere a chiunque, specialmente a chi ha l'aria del delinquente. La chiamano Pignatara, «perché in una pignatta chiunque ci mette di tutto». Il suo vero nome è Sirana, «che non era Sirena per un errore di trascrizione». Abita in un paesino sperduto del Regno delle Due Sicilie.

Il marito, innamorato al punto da perdonarle tutto, è un maestrino napoletano fuggito dalla capitale perché la famiglia è diventata antiborbonica e lui vuole solo rimanersene in pace a studiare. A mettere incinta la moglie è stato il suo magnaccia ma il maestrino non lo sa ed è felice di creare una famiglia con la sua donna.

Quando il regno cade e arrivano i Savoia lei viene stuprata ripetutamente dai soldati della guardia nazionale, davanti agli occhi del marito, poi trascinata in strada nuda e ingiuriata davanti a tutti. Così il mite e credulone maestrino capisce che «quando la vita ci pone in stati di tensione estrema, come in guerra, estrema è pure la sintesi cui si giunge. Ossia, per dirla con le sue parole: "La donna viene ridotta alla fica, l'uomo alla spada"».

E allora decide di farsi brigante insieme a lei, per amore e per vendetta. È la sua questione privata. Si uniscono agli altri rivoltosi e, con il tempo, muovendosi tra Basilicata e Calabria, il maestro e consorte concepiscono un progetto ambizioso, riunire sotto un solo comando tutti i briganti.
Il finale storico lo conosciamo tutti, il non lieto fine della vicenda tra i due meglio lasciarlo scoprire a chi leggerà il libro.

Intorno ai due protagonisti - la figura di lei è ispirata alla vera storia di una guerrigliera, Elisabetta Blasucci - si muovono personaggi realmente esistiti, come il Sergente Romano, Domenico Palma e Carmine Crocco, e soprattutto le donne che davvero sono state brigantesse come Ciccilla, Michelina e Cerasella che avrà un ruolo sempre più di primo piano. La Blasucci è ricordata spesso in coppia con Arcangela Cotugno: rispettivamente di Ruvo di Puglia e di Montescaglioso, furono le donne dei briganti lucani Coppolone e Libertone. Furono catturate presso le loro abitazioni, processate per brigantaggio e condannate a 20 anni di carcere, ma morirono dopo pochi anni. Sono loro le due donne in copertina di «Brigante se more», storico lp dei Musica Nova di Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò uscito nel La trama regge bene, la scrittura è accattivante nella sua ricercata semplicità, la storia d'amore e tradimenti è indagata quanto lo sfondo politico della vicenda che restituisce in forma letteraria l'impianto ideologico dell'autore, secondo il quale i briganti e le brigantesse devono essere considerati eroi ed eroine del Sud che, a ragione, hanno resistito all'invasore sabaudo.

Ora, nessuno può negare che l'esercito della neonata Italia si macchiò di stupri, eccidi e deportazioni, nessuno può sorvolare sui «massacri del colonnello Milon e del macellaio di terroni Pietro Fumel», crimini denunciati già all'epoca e in tempi recenti. Certo, neanche i briganti furono angioletti, e quel periodo andrebbe finalmente studiato senza pregiudizio, senza rimpianti, senza falsificazioni, senza idealizzazione del passato. Altrimenti, come giustamente fa notare Aprile, la storia del brigantaggio continuerà a dividerci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA