Domenico Starnone, «L'umanità è un tirocinio» al mestiere di vivere

Una grande raccolta per l'autobiografia intellettuale di Starnone

Domenico Starnone
Domenico Starnone
di Generoso Picone
Martedì 14 Febbraio 2023, 15:00
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A voler individuare il punto in cui abbia preso origine la sua voglia di scrittura, Domenico Starnone va a trovarlo all'incrocio tra due immagini notturne. La prima, quando dopo un tormentato parto casalingo nacque il fratellino e per giustificare lenzuola sporche di sangue gli venne detto che la cicogna aveva portato il piccolo ma poi voleva riprenderselo e allora il padre il quale prima aveva reso un ritratto bellissimo dell'animale - l'aveva uccisa: «Meno male». La seconda, fissa un animato litigio notturno tra i genitori, forse causato dalla cieca gelosia del papà e culminato in un rabbioso insistito epiteto rivolto alla mamma piangente: «Vanesia, vanesia, vanesia».

Sono due sequenze con un unico protagonista, il geniale, iracondo, talentuoso, insofferente Federì e potrebbero collocarsi nella struggente trama di Via Gemito, il romanzo che nel 2001 ne rivelò la vicenda agra. Ora sono poste all'inizio di L'umanità è un tirocinio (Einaudi, pagine 302, euro 18), volume che raccoglie testi di riflessione e analisi sparsi negli anni e qui rimontati nel tentativo di mettere in ordine scritture e letture varie e raggiungere il dichiarato risultato di comporre «un ritratto di lettore sventato mentre scrive in margine avventatamente».

In realtà, quella che viene restituita è una vera e propria autobiografia intellettuale di Starnone.

Appare il prodotto di un lavorìo incessante intorno alle questioni che dall'esistenza sono state portate alla luce sulla pagina e che negli spazi della quotidianità ritornano forse con un maggiore grado di consapevolezza: se un significato ha l'esercizio appassionato della lettura e della scrittura questo è nella possibilità di misurarsi con la verità che «umani si diventa, l'umanità è un tirocinio di esito incerto. E poiché al tirocinio concorre non poco la letteratura con le sue oscillazioni tra commento e sgomento».

Si tratta di una faticata opera di autocostruzione, tra fallimenti, successi, delusioni e riscatti non a caso la figura che la domina è quella di Federì, il paradigma simbolico di tante ansie - dove «la metafora del costruire e costruirsi è martellante e rimanda all'apprendistato di un mestiere, all'uso ragionato di tecniche» spiega a proposto di Il mestiere di vivere di Pavese.

Starnone si trova in quello spazio inquieto tra il libro e la vita, certo che «i veri grandi libri non hanno niente a che spartire con la letteratura. Il mestiere facilmente, continuamente, diventa astuzia, scaltrezza. E infine tornire materiale vitale con la scrittura fabbrica sarcofaghi per la vita stessa, la mummifica». Il suo personale tirocinio dell'umanità diventa allora un viaggio attraverso la letteratura alla ricerca di quegli autori che si sono mossi nell'imperfezione, nello scarto, nell'errore, nello sbrego fino a farne un linguaggio. 

Il catalogo si snoda da De Amicis a Foscolo, celebra le altezze di Henry James e Federigo Tozzi, tocca Natalia Ginzburg e Leonardo Sciascia, esalta il Carlo Samonà di Fratelli entra nel mondo di Meneghello e Kafka, lambisce Calvino e arriva al Petrarca del De secreto conflictu curarum mearum per intercettare il punto che nasconde il segreto conflitto di ogni angoscia. Rende omaggio filiale a La Capria, al dono della meraviglia che ricavò da Ferito a morte: «Scoprivo e insieme riconoscevo luoghi, sensazioni, persone, formulari, toni, la mia stessa città. Insomma c'era racconto, ma era un modo assolutamente diverso di raccontare», «il mistero di un testo riuscito non si svela né con l'esame della materia grezza con cui il testo è stato fabbricato né con l'individuazione puntuale degli echi libreschi, dei riusi espliciti, delle criptocitazioni. Ferito a morte è rimasto per me, negli anni, il frutto di una magia della quale il mago stesso, anche volendo, non saprebbe rivelare la parola magica». Riconosce le ulteriori lezioni giunte da Conrad nel realismo mimetico dell'oralità del Marlow di Lord Jim, da Carver capace come nessun altro di una sintassi narrativa che riesce a contenere veramente la vita, da Fante narratore della scontentezza di Arturo Bandini...

L'ironia e l'autoironia, invece, consentono a lui di guadagnare la giusta distanza dai simulacri della scrittura, acquisendo la temperatura che soltanto la straniata autobiografia oggi si direbbe e male, autofiction può assicurare. «I libri che ho pubblicato sono nati dal di dentro di questo perimetro», sottolinea. La labilità, l'interferenza, l'indecifrabilità, l'incompiutezza, la fragilità, le invenzioni, le bugie, i fantasmi della memoria sono gli elementi costitutivi di questa categoria di «personalità creative di piccolo cabotaggio che segretamente o platealmente o vistosamente aspiravano a un cabotaggio se non grande, almeno medio». Tutti alle prese con uno straordinario ed essenziale tirocinio di umanità. 

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