Quando Eduardo Galeano morì, nel 2015, Diego Armando Maradona scrisse: «Grazie per aver combattuto come un 5 in mezzo al campo e per aver segnato gol ai potenti come un 10». Una ventina di anni prima Galeano, scrittore militante, schierato dalla parte degli ultimi e calciofilo dichiarato, era riuscito a condensare in quattro parole la parabola infelice del Pibe dopo l'esame antidoping ai Mondiali Usa 1994 con: «Giocò, vinse, pisciò, perse».
Dell'autore di opere a metà tra romanzi, saggi e inchieste come l'epocale Le vene aperte dell'America latina e Splendori e miserie del gioco del calcio escono oggi alcuni suoi scritti, tra cui molti inediti e articoli recuperati da vecchie collaborazioni giornalistiche per piccole o grandi testate internazionali, raccolti in Chiuso per calcio (Sur, 330 pagine, euro 19, traduzione di Fabrizio Gabrielli).
Galeano rimpiange di non essere stato a Napoli quando Diego vinse nel 1988-89 il secondo scudetto, e in città si vendevano «immagini della divinità in pantaloncini, illuminata dall'aureola della Vergine o avvolta nel manto sacro del santo che sanguina, e si vendevano pure bottigliette con le lacrime di Berlusconi», allora presidente del Milan che arrivò secondo in campionato. Se a Napoli, città di adozione del Pibe de oro, San Gennaro si è trasformato in San Gennarmando, Maradona si è trasformato in Maracoca, e il processo che lo ha condannato «è stato il più rapido di tutta la storia giudiziaria di Napoli». Il Diego calciatore giocava meglio di tutti gli altri «non grazie alla cocaina, ma nonostante la cocaina. Si dopava alle feste tristi, per dimenticare o essere dimenticato, quando era già intrappolato dalla gloria e non poteva vivere senza la fama che non lo lasciava vivere».
Perché la colpa di Maradona, se ne ha avuta una, è stata per Galeano quella di sentirsi ogni giorno in dovere di fare il Maradona: ha sempre avuto problemi con la colonna vertebrale, fin da quando ha iniziato giovanissimo a giocare, «credo che sia stato il corpo a comportarsi metaforicamente. Vale a dire: gli scricchiolava la schiena perché si portava dietro un personaggio chiamato Maradona».