Francesco Piccolo, La bella confusione: la vita riassunta in due film del 1963

il diario di un viaggio investigativo con la passione per il cinema

Francesco Piccolo
Francesco Piccolo
di Generoso Picone
Martedì 21 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 07:22
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Quella storia dei capelli chiari e dei capelli scuri. È in un pomeriggio della seconda metà di febbraio del 2014 che Claudia Cardinale ricorda a un tavolino un po' appartato nel foyer del teatro Ariston di Sanremo, dove è ospite d'onore al Festival, come tra il maggio e l'ottobre del 1963 si fosse trovata nella complicata condizione di dove cambiare la tinta della capigliatura praticamente ogni settimana. Cioè a ogni passaggio di set da Roma alla Sicilia, consegnandosi con la disponibilità dei suoi 26 anni alle disposizioni dei due registi con cui, contemporaneamente, stava girando da protagonista due film che sarebbero diventati epocali, alternandosi tra i personaggi di Giulia in «Otto e mezzo» di Federico Fellini e Angelica in «Il Gattopardo» di Luchino Visconti.

Il suo interlocutore è Francesco Piccolo, allora uno degli autori del Festival, il quale si rende conto di non trovarsi di fronte soltanto al racconto di un episodio di succosa curiosità, ma alla preziosa chiave d'accesso a qualcosa che lo riguardava molto direttamente, a una vicenda che nell'intreccio straordinario e pullulante di nomi, date, circostanze, situazioni e rimandi finisce per curvarsi in una dimensione autobiografica, quasi intima.

«Perché pian piano ricostruivo tante piccole e grandi cose della mia vita. Tu pensi: devo occuparmene, e da quel momento fioccano le coincidenze», spiega Francesco Piccolo alle prime pagine di La bella confusione, il libro che giusto a partire dal pomeriggio sanremese prende le mosse e però pare aspettasse proprio il felice incontro all'Ariston per potersi sviluppare (Einaudi, pagine 285, euro 20).

La bella confusione è così il diario di un viaggio investigativo.

Qui Piccolo pare distanziarsi dalla trama dei suoi precedenti lavori, dalle atmosfere complici delle commedie umane messe in scena nei loro risvolti sentimentali, privati e pubblici, per attingere comunque all'esperienza maturata misurandosi con la passione per il cinema. Felliniano convinto fin dall'infanzia e da sempre lettore ammirato di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, lui che in fondo deve essere stato concepito all'incrocio del parto dei due film, nella contrapposizione che le cronache del tempo consegnano tra i giganteschi profili di Federico Fellini e Luchino Visconti individua un punto di divisione antropologica. Acquisisce così documenti e testimonianze, convoca le presenze dei personaggi di anni irripetibili nella letteratura, nello spettacolo, nella politica, ne recupera le voci e giunge a definire un affresco per molti versi struggente di un brano della Storia d'Italia.

La bella confusione è allora un saggio narrativo, una riflessione saggistica, la scrittura romanzesca di un tempo sul modello di La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg. Se è vero quanto afferma Isaiah Berlin studiando il frammento di Archiloco, che la volpe sa molte cose ma il riccio ne sa una grande, «Otto e mezzo» racconta che il protagonista Guido è volpe e «Il Gattopardo» che don Fabrizio Salina è riccio. Indicando le sequenze finali delle opere di Fellini e Visconti, che poi non a caso si rincontreranno. Francesco Piccolo giunge a dire che «tutti e due concludono il film accettando la propria essenza. E forse, Fellini, Mastroianni sono volpi; Visconti, Lancaster sono ricci. Non so, potrebbe essere così. Ma di sicuro, questi due film contemporanei rappresentano i due aspetti dell'umanità, secondo questo principio. Insieme, riempiono tutti i tasselli possibili».

Confronta le due opere, la loro genesi, quel che viene prima, durante e dopo. I contrasti tra Luchino Visconti e Federico Fellini che dal 1954, all'uscita rispettivamente di «Senso» e di «La strada» li attestano su versanti opposti di poetica cinematografica, le controverse interpretazioni di «Il Gattopardo» da parte del Pci con Mario Alicata, la valorizzazione che al contrario ne fa Louis Aragon, la versione viscontina che ne risente, l'itinerario psicanalitico condotto da Fellini che permea il suo immaginario e definisce il suo fare cinema, gli interventi di Suso Cecchi d'Amico, Ennio Flaiano, Nino Rota, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, le differenze e le somiglianze colorano come i capelli di Claudia Cardinale - «il bianco e nero e il colore, la sceneggiatura originale e non originale, il finto e il vero, il chiasso e il silenzio, l'improvvisazione e la precisione; si tengono insieme il riccio e la volpe, e quindi si copre l'intero scibile creativo e intellettuale. E si mettono insieme l'accettazione della vita e l'accettazione della morte. Così «Otto e mezzo» e «Il Gattopardo», insieme, restituiscono la completezza del mondo».

Sono le vere autobiografie dei loro autori, la ricerca del tempo perduto a cui si dirigono e accompagnano Piccolo nella risposta alla domanda che dal pomeriggio sanremese ha preso a pulsare: perché una storia del genere ha condizionato tutta la sua pratica narrativa? Perché, semplicemente, raccontano la confusione della vita, vivere vivendola e continuare a narrarla - nei libri, nei film è certo un modo «del tutto arbitrario e discutibile», ma forse l'unico. 

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