Felicia Kingsley: «E ora vi porto nell'Inghilterra di Jane Austen»

foto di eugenio iannetta
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di RIccardo De Palo
Domenica 10 Settembre 2023, 13:13 - Ultimo agg. 11 Settembre, 12:42
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«Ho sempre avuto la sensazione di essere nata nell'epoca sbagliata». Immaginate una brillante studentessa appassionata di romanzi in stile Regency, che partecipa a una rievocazione storica e si ritrova catapultata nella Londra del 1816. Superato lo shock iniziale, Rebecca Sheridan diventa la debuttante più contesa dell'alta società, e con pretendenti di ogni genere, a partire dall'uomo meno raccomandabile della città, il corsaro Reedlan Knox. È la trama dell'ultimo libro di Felicia Kingsley, Una ragazza di altri tempi, appena uscito per Newton Compton. La regina del romance italiano - un fenomeno da oltre 1,8 milioni di copie, cinque libri attualmente in classifica, traduzioni in dodici Paesi e un romanzo, Non è un paese per single, in procinto di diventare una serie tv - questa volta non si accontenta di ispirarsi a Jane Austen, ma scaraventa direttamente la protagonista nella sua epoca. Felicia Kingsley, che nella realtà si chiama Serena Artioli, ha 35 anni, vive dalle parti di Modena, a Carpi, e lavora come architetto, ci parla mentre è in corso il suo tour italiano (a Roma mercoledì scorso erano 1200 le fan accorse ad ascoltarla).


Perché un viaggio nel tempo?
«Ho sempre desiderato scrivere un romanzo Regency, ma quando ho cominciato ad ambientare una storia interamente in quell'epoca, ho capito che avevo bisogno di una protagonista contemporanea, in cui le lettrici potessero riconoscere la mia voce».


Se lei potesse viaggiare nel tempo, quale epoca sceglierebbe?
«Mi piacerebbe andare dappertutto, ma senza fermarmi a lungo. Tengo troppo a quello che noi donne abbiamo conquistato. Vedrei il Rinascimento, l'epoca romana, e magari anche qualcosa al di fuori della storia canonica che ci viene insegnata a scuola. Non è che prima del 1492 in America non ci fosse niente».


Anche lei si sente una ragazza di altri tempi?
«Per alcune cose magari sì, per altre meno. Soffro la velocità e i ritmi incalzanti. A volte tempi un po' più lunghi non mi dispiacerebbero. Mandare una mail oggi che arriva - chessò? - tra due giorni».


Nostalgia del piccione viaggiatore?
«Esatto».


Jane Austen è una autrice idolatrata in tutto il mondo: un modello inarrivabile?
«I classici lo sono per definizione. Io penso che ci si debba sempre confrontare con i propri contemporanei. Anche Austen e Dickens scrivevano per il loro tempo, senza pensare di poter diventare "eterni". Ma Orgoglio e pregiudizio è stato scritto quando la Austen aveva soltanto 21 anni. Straordinario».


E ci sono altri autori, anche contemporanei, a cui guarda con ammirazione?
«Io sto aspettando come se fosse Natale il 26 settembre, data di uscita del nuovo libro di Ken Follett, Le armi della luce che fa parte del ciclo di Kingsbridge. Anche lui ha scelto come frammento temporale la fine delle guerre napoleoniche».


Nel suo libro, infatti, compare anche Wellington.
«Sì, è una figura molto simpatica: prima di raccogliere tanti successi in battaglia, beveva, scommetteva, era un donnaiolo, era tremendo».


Quali sono le differenze tra passato e presente?
«Noi ormai diamo per scontate tante conquiste a cui siamo abituate. Ma che non lo sono affatto. Rebecca si rende conto che nel 1816 è paragonabile a una proprietà immobiliare. E che le cameriere sono quasi più libere di lei».


Si scoprono tanti pregiudizi che allora erano prevalenti anche tra le donne, è così?
«Sì, erano parte del loro contesto e dell'ambiente in cui erano cresciute.

La stessa Austen che, oggi viene vista come una rivoluzionaria, in realtà non lo è mai stata. Una figura veramente tale, semmai, era Mary Shelley».


Il suo libro a un certo punto vira sul giallo. Le piace la commistione di generi?
«Mi piace cercare di combinare generi ma anche controbattere a chi crede che nei romance ci sia soltanto l'amore».


Cosa trova Rebecca in Knox, bello e dannato?
«Lui la conquista perché le regala saponi, in un'epoca in cui lavarsi non era di moda. Poi le dona inchiostro per scrivere, che per le donne voleva dire libertà».


Quanta ricerca ha fatto?
«Questa è stata la parte più divertente. Mi sono procurata una mappa di Londra del 1816 con tutti i nomi delle vie, che nel frattempo sono cambiati. E poi sono andata a cercare tutto quello che mi serviva per far filare la trama. Di molti eventi pubblici a cui i personaggi partecipano, come i derby di Epsom e Ascot, ci sono giunti i resoconti completi: le corse, i vincitori, le scommesse, la data, l'ora, il fantino».


Lei ha scelto uno pseudonimo ma, al contrario di Erin Doom, non si è mai nascosta, perché?
«Quando ho deciso di pubblicare libri, alla fine del 2013, ero iscritta da pochissimo all'Ordine degli architetti e dovevo rispettare certi dettami di deontologia. Mi era venuto il dubbio: se firmo dei romanzi come Serena Artioli per l'Ordine può essere interpretato come un metodo illecito di autopromozione?»


Come architetto di cosa si occupa?
«Qui in Emilia nel 2012 c'era stato il sisma che aveva causato molti danni: ho cominciato a lavorare su ristrutturazioni e ricostruzioni, restauri scientifici. I centri storici si erano sbriciolati. Poi è subentrato il volume di lavoro del 110 per cento che ora si sta esaurendo. Progettazione e molta burocrazia».


E com'è nella vita reale Serena Artioli? Ha trovato l'amore o lo sta ancora cercando come i suoi personaggi?
«Eh no, l'ho trovato eccome, dieci anni fa, abbiamo un bimbo di due anni. Lui però, a differenza di Knox, non fa il pirata. Non c'è nulla di autobiografico nei miei libri. A parte Stronze di nasce: una volta ho avuto un'amicizia tossica con una ragazza che credevo amica».

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