Maurizio Braucci, Qualcosa di simile ai suoni del bosco: «Un cane per amico»

«Il rapporto con un cane insegna tanto, a cominciare dalla forza, e dalla fragilità, di ogni legame di amicizia»

Maurizio Braucci
Maurizio Braucci
di Ugo Cundari
Martedì 7 Novembre 2023, 13:00
4 Minuti di Lettura

Uno è randagio, l'altro è feroce, quello è un reietto. Chi vive in branco e chi da solitario. Di razza o meticcio, di taglia piccola o grande, sono i cani con il loro rapporto con l'uomo i protagonisti degli otto racconti di Maurizio Braucci raccolti in Qualcosa di simile ai suoni del bosco. Storie nelle quali si vivono avventure realistiche, si riflette sulla vita dei cani nell'aldilà e sulle loro potenzialità spirituali, si immagina un pianeta abitato solo da beagle, husky, mastiff, rottweiler, setter.

La raccolta inizia con una sua dichiarazione di odio nei confronti dei cani, perché Braucci?
«Il rapporto con un cane insegna tanto, a cominciare dalla forza, e dalla fragilità, di ogni legame di amicizia.

Provare l'esperienza di perdere un cane, seguirlo nei suoi ultimi mesi di vita, è uno dei dolori più strazianti che si possa provare. Allora impari la caducità di ogni esistenza e di ogni sentimento. Approfondisco questi temi parlando di cani, ma ovviamente vale anche per i rapporti con gli esseri umani. Odiare i cani è una reazione di difesa, è un'ammissione di amore. Il libro l'ho scritto per mantenere la promessa fatta al mio Chet».

Il cane che ha vissuto con lei 15 anni.
«Avevamo un rapporto particolare. Viveva con me ma aveva la sua autonomia. Si allontanava quando ne aveva voglia e poi ritornava da solo. Aveva una grande capacità di orientamento».

Come vi siete conosciuti, se così si può dire?
«L'ho trovato per strada, era figlio di un incrocio tra un lupo e un husky. Mi scelse lui. Un giorno camminavo per piazza Matteotti e lui all'improvviso iniziò a seguirmi. Io non ero neanche tanto intenzionato a tenermi un cane. Da allora è diventato il mio compagno di viaggio. È venuto con me ovunque, anche all'estero, con tutte le difficoltà che si possono immaginare. Tutto si risolveva con una grande intesa. Quando ha iniziato a soffrire mi ha colpito molto la sua innocenza, la sua inconsapevolezza».

Stabilire un grande legame con un cane che significa?
«Essere iniziati a un mondo che altrimenti rimarrebbe ignoto, sempre che un cane non diventi, per la persona con la quale vive, il sostituto del figlio, dell'amante, del consorte, insomma che non si umanizzi. Se mantiene la sua natura in parte selvatica allora chi vive a suo contatto acquisisce una coscienza superiore».

Perché?
«Entra in un regno come quello animale che è spazio di libertà e anche dimensione incomprensibile per certi versi, e allora capisci che del mondo non potrai mai padroneggiare tutti i meccanismi. È una consapevolezza di grande umiltà. La verità profonda è che siamo parti di un disegno il cui senso ultimo ci sfuggirà sempre. Il cane è la concretezza del mistero dell'esistenza».

In un paio di racconti pare che i cani nutrano un sentimento di spiritualità. 
«Sono capaci di un sentire più elevato rispetto a quello che di solito immaginano gli uomini. In fondo il rapporto con noi è basato su sentimenti di questo tipo. Chi ha un cane insegna e impara. È un apprendimento reciproco, non è che perché non sanno leggere e scrivere non siano esseri viventi emancipati incapaci di insegnarci valori superiori. Non lo racconto solo io, la letteratura sui cani è molto ricca».

Chi preferisce?
«Con Turgenev, Tolstoj, Jack London, Queneau il cane è lo specchio perfetto, la suprema metafora della letteratura per spiegare non solo cosa significa l'amicizia ma anche per spiegare chi siamo noi. La migliore definizione del cane l'ha data Baudelaire, per lui è bestia da dispiacere, perché quando muore perdiamo il nostro migliore amico». 

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