Michele Guardì, la sindachessa e il polentone: una storia sicula

Il romanzo del regista siciliano tra i più longevi protagonisti da dietro le quinte del piccolo schermo

Michele Guardì
Michele Guardì
di Ugo Cundari
Giovedì 23 Febbraio 2023, 12:00
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Tra i più longevi protagonisti da dietro le quinte del piccolo schermo, qualcuno l'ha definito il Pippo Baudo dei registi televisivi, nella sua lunga carriera Michele Guardì, siciliano classe 1943, ha lanciato presentatori come Fabrizio Frizzi e Alberto Castagna, ha diretto trasmissioni come «Domenica in» e «Scommettiamo che...?» , si è inventato format che durano da oltre 30 anni come «I fatti vostri» in cui è la voce fuori campo del Comitato. Dopo Fimminedda (Sperling & Kupfer) del 2017, torna in libreria con un giallo ironico Il polentone, ambientato negli anni Settanta nell'entroterra siciliano. Quando dalla «ricca e avida sindachessa», nonché segretaria della Dc locale, si presenta un ispettore torinese per indagare su un giro di tessere false, i due prima si odiano e poi si amano, tanto che si sposano e pare che la storia si risolva con un lieto fine, se non che il polentone viene rapito e viene a galla una verità che nessuno avrebbe mai immaginato. Il romanzo sarà presentato oggi, a Roma: alle 18.30 al circolo Canottieri Aniene, con l'autore saranno presenti Enrica Bonaccorti, Domenico De Masi e Simona Izzo. Modera Salvo Sottile.

Guardì, lei scrive degli anni '70 ma la storia delle tessere farlocche è di grande attualità.
«È una torbida vicenda evergreen.

Succedeva quaranta anni fa e succede oggi. Certi mondi, come quello della politica, non cambiano, bisogna rassegnarsi. Cambiano solo gli interpreti ma la commedia è sempre la stessa. Noi diciamo tunna è, come sentenzia uno dei personaggi del mio romanzo».

Cioè «tonda è».
«Il motto è nato nel mio paese, Casteltermini, in provincia di Agrigento, ed è legato a una storia vera. Agli inizi del Novecento i lavori di costruzione della cattedrale erano finiti, mancava solo una di quelle grandi palle che danno imponenza alla cupola. Il podestà dell'epoca si fece arrivare dei grandi blocchi di pietra ma nessuno riuscì a trasformali nella palla tonda che ci voleva. Allora chiamò un grande artigiano da Palermo, che venne, diede qualche colpo di scalpellino quel tanto che bastava per smussare gli angoli e la fece issare in cima alla cupola. Ora, quell'opera d'arte non era tonda, ma da lontano così appariva a tutti, e dunque dire "tunna è" è un invito ad accettare la realtà, è una conclusione che non ammette repliche».

Il suo romanzo è ricco di storielle vere come questa. La più divertente è quella sui pacchi dono.
«Nel dopoguerra i siciliani emigrati in America mandavano pacchi di ogni ben di Dio ai parenti rimasti sull'isola. Un giorno a una famiglia ne arrivò uno più generoso del solito, che fu consumato avidamente, a cominciare da una gustosa spezia in polvere con la quale condirono gli spaghetti. Dopo qualche giorno, aprirono la lettera che accompagnava il pacco e scoprirono che quella non era una spezia ma le ceneri della nonna, che aveva espresso come ultimo desiderio di essere seppellita nella sua Sicilia. Racconto queste storie, come anche quella dell'invenzione dello champagne ai fichi d'India, perché è dovere di chi scrive impedire che si perda la memoria, soprattutto dei piccoli fatti».

La sindachessa del suo romanzo fa perdere non la memoria, ma la testa al polentone.
«Anche questa è una storia vecchia come il cucco, da sempre c'è chi utilizza i sentimenti per calcolo. A essere differente da quello che ci aspetterebbe è il finale del romanzo».

Non lo sveliamo, ma possiamo darne un assaggio?
«Alla fine, viene a conclusione il gioco con gli stereotipi dell'uomo meridionale astuto e di quello settentrionale credulone. Ribalto i ruoli. La conclusione è: per vivere bene devi lasciar credere agli altri che tu sei come loro ti immaginano. Sia che ti ritengano un genio sia che ti pensino fesso. Anzi, se ti ritengono fesso, ti sarà più facile fregarli». 

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