Napoleone, la forza della sconfitta: il nuovo boom dalla ristampa di Dumas al film di Scott

Da Waterloo a Sant'Elena: non è un caso che le pagine più conosciute siano quelle della sconfitta

Joaquin Phoenix nei panni di Napoleone
Joaquin Phoenix nei panni di Napoleone
di Luigi Mascilli Migliorini
Giovedì 16 Novembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 17 Novembre, 07:28
5 Minuti di Lettura

A tambur battente. Così Alexandre Dumas dichiarava di aver scritto la sua Vita di Napoleone, da poco nuovamente in circolazione in una veste tipografica particolarmente elegante (Roberto Nicolucci editore, pagine 200, euro 18) quasi a voler risarcire quel feuilleton pubblicato a puntate su un popolare giornale parigino nell'ormai lontano 1840.

Quasi duecento anni più tardi è ancora a tambur battente che, nonostante le tre ore e più di proiezione, sembra scorrere la vita di Napoleone nel film di Ridley Scott in uscita il 23 novembre, a voler dar ragione, se ancora ce ne fosse bisogno, a quell'immagine immortalata nell'espressione di un prezioso intellettuale francese di primo Novecento. «Napoléon homme pressé» aveva scritto Paul Morand, volendone fare l'icona, tutta novecentesca, di un'umanità affannata a voler far presto, incalzata e alla fine travolta da un tempo che non le viene mai regalato in sufficiente misura.

Certo le improvvise e assai spesso geniali decisioni del grande condottiero, la rapidità delle sue battaglie e l'irruenza della sua ascesa politica (tutte fin troppo generosamente sottolineate nel film di Scott) sono ben altra cosa rispetto al nostro correre frettolosi per le strade cittadine andando incontro ad un appuntamento tanto urgente quanto inutile, o ai nostri affanni quotidiani per raggiungere traguardi di cui sin dalla partenza intuiamo la vanità.

Eppure, o forse proprio per questo, il Napoleone a passo di carica, delle vittorie fulminee e del consumo fin troppo disinvolto di uomini e di munizioni, sembrerebbe capace di raccontarci, con la sua ansia, la nostra ansia, con il suo non arrendersi alla mediocrità del presente il nostro non meno inquieto tentare orizzonti meno opachi di quelli che spesso ci vengono proposti o, ancor peggio, imposti.

Alexandre Dumas, per la verità, ci era andato più cauto di Morand, e assai più cauto di Scott. Era pur sempre un uomo dell'Ottocento e le sue accelerazioni, obbligate in molti casi - uno è proprio quello della biografia di Napoleone scritta in un tempo brevissimo per guadagnar denaro e pagare almeno qualcuno dei suoi innumerevoli creditori - recavano il segno della necessità piuttosto che quelle della insensatezza esistenziale. Il contesto intorno a lui era più lento e il suo Napoleone, per quanto eccezionale, rimaneva pur sempre un giovanotto la cui storia non era troppo diversa da quelle raccontate in quegli stessi decenni da un Balzac o da un Maupassant: un giovane studente alla Rastignac, insomma o un Bel Ami tentato e perduto dalle donne, le cui origini troppo distanti dalle ambizioni, conducono ad una vita irruente e fallimentare.

A guardare ora il modo tagliente con cui Joaquin Phoenix (l'impeccabile interprete di un Napoleone a misura del ventunesimo secolo) incede nella propria vita, e soprattutto nelle vite altrui, il sentimento ossessivo di un destino che lo domina, assai più che essere da lui dominato, l'indifferenza esibita come virtù indispensabile del successo, ci rendiamo conto che siamo assai lontani dalle pagine incalzanti di Dumas e anche da quelle, più riflessive e problematiche, di Morand. Il tamburo batte diversamente, non direi più vigorosamente, nel nostro secolo. La rapidità, come la spietatezza, non sono più uno strumento, ma un esito, un valore che precede e sostituisce l'oggetto per il quale esse sono state usate. Napoleone, al contrario, rimane sempre ancorato al peso insostituibile del progetto. Un progetto che nessuna «volontà di potenza» poteva surrogare, perché in lui era la grandezza del disegno che si era posto davanti che rendeva grande colui che aveva la forza e la capacità di realizzarlo. Camminava sui campi di battaglia coperti di morti con la stessa esitazione con la quale passeggiava per i giardini di Ermenonville cari a Rousseau e si chiedeva se tutto quello che aveva fatto servisse veramente a qualcosa, se il suo amatissimo filosofo non gli avesse, forse, indicato un'altra strada per raggiungere quell'obiettivo, la felicità, più grande di tutti gli altri, più ambizioso di ogni ambizione, dal quale, però, vittoria dopo vittoria, trono dopo trono, egli sentiva di starsi allontanando.

Waterloo, Sant'Elena: non è un caso che le pagine più conosciute, quelle nelle quali egli stesso finisce col riconoscersi meglio, siano quelle della sconfitta. Sconfitte gloriose, come si dirà poi di Waterloo di cui tutti ancora ricordiamo distintamente il nome di chi ha perso e facciamo fatica a ricordare quello del vincitore. O come l'ultimo esilio, durante il quale Napoleone costruisce con una lucidità che non aveva avuto in nessuno dei suoi trionfi militari, l'immagine che avrebbe voluto tramandare ai posteri, anche agli abitatori del ventunesimo secolo. La sconfitta, dunque, e poi la capacità di reagire sono il messaggio che affascinò le generazioni che non avevano visto la Rivoluzione e non avevano combattuto nei suoi eserciti, ma avevano letto le sue Memorie, scritte su un isolotto di 11 chilometri quadrati sperduto in mezzo all'Oceano. Prometeo moderno a cui può oggi ancora guardare non chi ama vincere a tutti costi, ma chi sente in sé la forza di reggere la sconfitta e continuare coraggiosamente a vivere. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA