Peppe Barra oltre la maschera: un maestro allo specchio

Esce il libro del cantattore napoletano

Peppe Barra oltre la maschera: un maestro allo specchio
di Federico Vacalebre
Sabato 19 Novembre 2022, 09:31
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Si inizia entrando a casa sua, ultimo palcoscenico di una napoletanità estinta, si finisce esorcizzando la nostalgia. Vissuto a cavallo di due secoli, Peppe Barra si sente però uomo dell'Ottocento grazie alla nonna ed ai suoi racconti. Del Novecento preferisce quasi gli anni che non ha vissuto, ma che ha «sentito» grazie a mamma Concetta, dei giorni nostri preferirebbe non parlare. A 78 anni, il magistrale cantattore napoletano, ma nato a Roma e procidano adottivo, si confessa in Racconta Napoli, libro-intervista con l'inviata di «la Repubblica» Conchita Sannino.

«Quindi dobbiamo proprio parlare. Mo' mi devo aprire?», chiede spaesato nelle prime pagine, ed è facile immaginare la faccia buffa regalata alla sua fortunata interlocutrice. Senza cercare lo scoop ruba-titoli, anzi proteggendo il suo privato, quasi che Giuseppe Barra sia una cosa e Peppe Barra un'altra, il libro confessa paure e dolori e tradimenti. Dal rischio di morire in scena, pochi mesi fa (a causa di una «arteria aorta occlusa al 99 per cento»), si passa all'apprendistato con zietta Liù, alias Lea Maggiulli Bartorelli, quando era così povero che i suoi libri colorati e magici non poteva nemmeno sognarli. Subito, anche lui allievo, ma più grande e prediletto, proprio della Montessori partenopea, entra in scena Roberto De Simone.

Che, scopriamo, il primo abbozzo del capolavoro «La gatta Cenerentola» l'aveva scritto per Barra, che all'epoca insegnava teatro ai ragazzi. Dietro le quinte di quel capolavoro c'è la Nuova Compagnia di Canto Popolare, la decisione di Romolo Valli di portare lo spettacolo al Festival di Spoleto, lo scandalizzarsi di Giancarlo Menotti durante le prove per le parolacce profuse per poi tranquillizzarsi grazie agli applausi alla prima ed alle recensioni entusiaste dell'evento.

Ma il dente batte dove il cuore duole, e la rottura con «il maestro» è ferita ancora aperta, anche se ormai consumatasi diversi decenni fa: «Io non riesco a non amarlo. Ma ho paura che abbia scelto di inaridirsi».

Il motivo della rottura sta in una storia di ego e di divergenze artistiche: in locandina c'era Giuseppe Barra, «ma io già mi sentivo Peppe Barra». De Simone, «narciso che paga la sua austerità», resta però come il nume tutelare, insieme a mamma Concetta, di tutta la carriera, ha mostrato la strada e legato a lui c'è anche il più grande rimpianto, quello di non aver spinto perché i fratelli Taviani riprendessero quella straordinaria esperienza teatrale.
Consumato il «parricidio» artistico, nel viaggio avanti e indietro nel tempo, permesso dall'andamento rabdomantico dell'intervista, spunta il Trio Vittoria: la madre, con le sorelle maggiori Nella e Maria, canta per i bagnanti melodie veraci: da una barca, solo voce, nelle grotte del golfo. Immagine d'altri tempi, come quelle ugole che pure si trovarono a testimoniare la barbarie fascista durante un tour nella Grecia occupata, come la Procida e la Napoli rimpianta da Barra, come la politica di un tempo: «Sono rimasto un uomo di sinistra... La sinistra faccio fatica a vederla, nel Paese».

Intanto, il privato fa capolino: «Credo in coscienza che l'amore che volevo, non l'ho mai avuto... quell'amore là non l'ho mai avuto. Ed io credo di essermi messo in gioco, di averne riservato senza risparmio quando mi sono innamorato». Poi però via dalla pazza folla, dai social asociali, dai coming out in diretta tv, da un mondo in cui non si riconosce più.

Meglio ricordare gli incontri di mammà con Eduardo De Filippo e con Totò, o quando Fellini applaudiva la Nccp per quindici giorni di fila al teatro tenda di Roma, o le commedie divise con Maurizio Scaparro, e il cinema diviso con John Turturro e Roberto Benigni.

La solitudine, le illusioni dei cambiamenti prospettati da Bassolino e De Magistris, le delusioni, ma anche la scelta di restare a Napoli, senza mai pensare di lasciarla. Perché? gli chiede la Sannino: «Non lo so dire neanche io. Non vorrei usare parole usurate, che rischiano di perdere senso. Dipendenza? Somiglianza? Troppe cose mi mancherebbero». E immagini di nuovo la smorfia per l'occasione, la risata salvifica, il ghigno esorcistico, la maschera evocata senza bisogno di indossarla.

Ecco Racconta Napoli va oltre la maschera, guarda alla città palcoscenico che cantava Sergio Bruni e che si vede dal terrazzo di casa di Giuseppe Barra. Quel palco è la vera casa di Peppe Barra, nato praticamente in scena, con il sogno di morire (il più tardi possibile) in scena. Lui, intanto, aspetta di portare in scena ancora una volta «La cantata dei pastori», mentre dopodomani, e poi il 28, terrà due masterclass alle Officine San Carlo di Vigliena.

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