Purgatorio ad Arco a Napoli: quattrocento anni di anime pezzentelle

Un libro ricorda la fondazione della chiesa

L'esterno della chiesa
L'esterno della chiesa
di Giovanni Chianelli
Venerdì 8 Marzo 2024, 10:50
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«Non c'è niente di più umano del Purgatorio/ di una chiesa pensata per un motivo:/ dar dialettica alle aspettative di gloria/e certezze ca a morte te tene ancora cchiù vivo». È l'incipit di 'A morte, la poesia che il drammaturgo Mimmo Borrelli dedica alle «aneme pezzentelle», gli spiriti dei defunti che aleggiano nelle catacombe napoletane e a cui il popolo continua a dare culto, richiesta di suffragio. È uno dei testi di Il complesso di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco (5 continents edizioni), volume presentato l'altroieri nella chiesa omonima e curato da Francesca Amirante, studiosa che da tempo dirige le attività culturali del sito. Nel libro spiccano le immagini, realizzate dal fotografo Luigi Spina, uno specialista del patrimonio culturale napoletan, dal Mann a Pompei.

Il percorso iconografico parte dalla celebre teschio della principessa Lucia, ormai una star del mondo dei trapassati con preci e messaggi da ogni parte del mondo; e si addentra nel complesso raccontando la chiesa al piano superiore e l'ipogeo con la sua terrasanta, ovvero il luogo in cui, già a inizio 600, venivano tumulati i defunti e dove accorrevano i congiunti per sperare nella loro ascesa in paradiso: «Sopra e sotto, andata e ritorno, Spina ha lavorato in autonomia per evocare i punti che più lo colpivano; perché questo non è né un catalogo né una guida», spiega la Amirante, «ma un omaggio al complesso, alla sua storia e alla sua nuova vita».

Il volume esce per un compleanno speciale, quattro secoli di culto. Fu nel 1624 che nella struttura si sviluppò una chiesa di proprietà di famiglie nobili, dunque un istituto essenzialmente laico.

La sua fama nel giro di poco conquistò il territorio se fu proibito, a distanza di mezzo secolo, il culto delle anime, vietando anche l'accesso alla zona delle sepolture.

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Le fotografie di Spina offrono anche altri spaccati, tra questi il patrimonio artistico del Purgatorio ad Arco. Veri capolavori: quadri di Luca Giordano, Massimo Stanzione, Andrea Vaccaro e tanto altro, fino ai giorni nostri in cui un artista di fama internazionale e innamorato di Napoli come Jan Fabre ha pensato di incrementare la collezione col suo «Il numero 85 (con ali d'angelo)», un mosaico di microsculture di corallo con cui l'artista fiammingo omaggia il «Teschio alato» di Dionisio Lazzari, realizzato nel 1669 per l'altare maggiore della chiesa.

Qui morte e vita si danno la mano, una volta come adesso. Se ieri era il posto in cui, dopo la sepoltura, si parlava coi morti, oggi è un sito frequentato da turisti e studiosi dove il culto si rinnova, come testimoniano «le mani furtive dei visitatori che lasciano dediche e preghiere a quei resti di sconosciuti» dice la Amirante, anche autrice di due contributi del volume: una descrizione dei recuperi e delle nuove acquisizioni e la ricostruzione dei 400 anni di storia del sito, dal titolo Accarezzando la morte. «Ha poca importanza, e non si dispiacciano gli antropologi, che si assottigli il numero degli antichi fedeli locali che adottavano le capuzzelle, perché ce ne saranno sempre di nuovi, di diversi, provenienti da tutte le parti del mondo, di ogni sesso ed età perché nel Purgatorio ad Arco la morte non si patisce, ma si accarezza», dice. Oddio, Roberto De Simone, e non solo lui, avrebbe da ridire sulla folklorizzazione della religiosità popolare che permette di sostituire gli antichi devoti con orde di turisti alla ricerca di colore locale.

Tra gli altri, c'è un brano scritto dal sindaco Gaetano Manfredi, un approfondimento sui paramenti sacri della storica dell'arte Silvana Musella Guida, il suggestivo Strofina e prega, scerea e prega a firma della studiosa Vittoria Vaino: «Scerìa significa lustrare, far ritrovare all'oggetto la purezza che aveva all'origine. Un oggetto scerìato diventa lindo e tra le mura dell'ipogeo della chiesa tante donne hanno scerìato per anni teschi riesumati di anime abbandonate e senza nome», scrive l'autrice. Un altro testo racconta il complesso dal punto di vista delle note: è Musica in Purgatorio di Giacomo Sances, una carrellata dei maestri di cappella che operarono nel luogo, tra cui Francesco Marinelli, Donato Ricchezza e soprattutto Francesco Feo, compositori di una buona fama che contribuirono a donare fervore artistico alla chiesa delle anime pezzentelle.

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