Vincenzo Trione, Prologo celeste. Nell'atelier di Anselm Kiefer

«Proprio nel luogo dove il male è così grande, verrà trovata la salvezza»

Vincenzo Trione
Vincenzo Trione
di Giuseppe Montesano
Lunedì 11 Dicembre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 12 Dicembre, 16:39
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Un giorno un professore universitario di Storia dell'arte arriva a Barjac in Francia, un luogo reale che sembra un luogo immaginario, un luogo dove da trent'anni un Anselm scava e costruisce ipogei di cemento, innalza hangar industriali e strane serre dove fa crescere sculture, dipinti e oggetti in cui la materia, che sia il piombo riciclato dalle cattedrali gotiche o il cemento della modernità o ogni altro materiale, è sottoposta dal folle ispirato Anselm a dissoluzione e trasformazione, brutalizzazione e rigenerazione, bollitura e sublimazione, in una serie di operazioni che formano un'opera che non sarà mai «finita»: così, con l'arrivo a Barjac di Vincenzo Trione, il professore in visita da Anselm Kiefer l'artista, si apre Prologo celeste. Nell'atelier di Anselm Kiefer, un libro appena uscito per Einaudi con 80 fotografie essenziali, dove Trione, in prima persona, invita il lettore a seguirlo nel suo viaggio nella Kiefer-Land.

Andare a «trovare» Kiefer e la sua opera, parlare con lui a Barjac e poi a Croissy, è stata la scelta di Trione per guardare all'opera di Kiefer da un punto di vista nuovo, prismatico: tornando su un antico amore per capirlo a partire dai luoghi, luoghi sì geografici ma soprattutto luoghi fisici e mentali dell'ispirazione.

Ne viene fuori un ritratto dell'opera di Kiefer che non trascura per nulla il tentativo di decifrare l'opera, ma lo fa in un modo per così dire leggero, che raggiunge un risultato importante: quello di invogliarci a sprofondare nel gorgo in movimento Kiefer, staccando i quadri dalle gallerie, le installazioni dai musei, le opere dalle exhibition e facendoci entrare nell'operazione di ricostruzione del mondo tramata da Kiefer. 

Trione dissotterra le radici filosofiche, letterarie, mitopoietiche, scientifiche che nutrono l'operare di Kiefer, là dove si rimescolano l'alchimistico Fludd rosacrociano, il filosofo ignoto Emo, la scrittura illeggibile ma da leggere di Celan e una sterminata serie di riferimenti colti: e allora davanti a noi, come in nell'idea di collage che tanto è attiva nel mondo-Kiefer, si compone a pezzi e a frammenti un ritratto di quello che forse potrebbe essere il Wagner dell'arte di oggi.

Kiefer ci appare come un'anomalia smisurata, e Prologo celeste un viaggio in questa affascinante dismisura, dove Trione mette al centro il concetto di «figurabilità», che non è né figuratività né altri vecchi arnesi, ma indica il moto di rappresentazione che Kiefer mette in opera, il movimento perenne di Kiefer dall'abissale del teo-escremento al sublime dei palazzi celesti, un moto che è inseguito dalla mobilità con cui Trione lascia emergere non solo le luci ma anche le ombre e i vuoti dell'oggetto-Kiefer: in un libro che non dà conclusioni finali perché le ritiene inadeguate e che, invece di rinchiudere Kiefer in una o più caselline, lo spalanca a una molteplicità di possibili visioni, conservando volutamente tutte le contraddizioni che animano un'arte che fa rimare Abisso con Celeste. 

E a noi alla fine, estremizzando in modo brutale ciò che Prologo celeste fa affiorare in modo sottile, critico e sfumato, viene da pensare che Kiefer è un artista della interminabile Modernità e non un rappresentante dell'arte contemporanea, perché l'opera di Kiefer manda in crisi il concetto stesso di arte contemporanea come si è affermato a partire dal pop e dai Sixties, e questa sua estraneità al «Tempo» è ciò che dà alla sua opera l'inquietante potenza che l'arte contemporanea, diventata arte neo-contemporanea, non ha. E non ce l'ha per la sua illusione «interessata» di tagliar via il passato storico, e in particolare quello in cui c'era già tutto il futuro possibile, il tempo che va da Van Gogh alla mostra-installazione surrealista che Duchamp allestì a Parigi nel 1938, un «passato» che, attraverso conoscenza e trasmutazione, diventa presente e futuro in Kiefer o in Viola e persino nella Abramovic: e in pochi altri, poiché il resto è pubblicità e mercato, e quindi arte neo-contemporanea.

Ma a noi, abitanti nel melting-pot della decadenza, l'arte di Kiefer «serve»? Sì, e a noi più che a chiunque. Nello Zohar è scritto che «proprio nel luogo dove il male è così grande, verrà trovata la salvezza»: così i Sette palazzi celesti dicono che per salvarsi non c'è luogo migliore di questo presente, e proprio qui dove tutto è perduto tutto è ancora possibile, ma solo se è adesso, in questa miseria e in questa follia, in questa degradante fine: e solo per chi ha il coraggio di immaginare la salvezza. 

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