E se il vero Majakovskij non fosse il poeta di propaganda del poema Lènin ma il poeta dissennato delle poesie d'amore? Una nuovissima traduzione di poesie e poemi di Vladimir Majakovskij esce ora per Einaudi, si intitola Poesie d'amore 1913-1930, è curata da Paola Ferretti, già traduttrice dei Sette poemi della Cvetaeva per Einaudi e dei Temi e variazioni di Pasternak per Passigli, e ci offre un Majakovskij in un certo senso inedito.
La Ferretti mette in luce un Majakovskij poeta che i lettori tendono a smarrire nella marea di versi di propaganda e di componimenti a scopo didattico, e punta la luce sulla sua poesia d'amore per mostrare i passaggi segreti e le oscure malìe di una poesia complessa, e attacca la sua introduzione con una frase che è subito un'interpretazione critica centrale: «Il furore del Majakovskij poeta d'amore non è scorporabile da quello del Majakovskij poeta della rivoluzione».
Nel ritmo incalzante da batteria che usa parole-verso per accelerare, e allo stesso tempo con gli spazi bianchi apre pause temporali, compaiono le metafore: quella quotidiana di chi nella pienezza della sua forza interiore ed esteriore spacca felice la legna perché innamorato, quella cosmica del poeta che detesta Copernico e la rotazione terrestre che lo costringono all'alba a lasciare l'amante, e quella della città moderna in cui il cuore innamorato «strombazza» come i clacson delle prime automobili. E queste metafore non sono «spiegate»: Majakovskij le fa apparire in maniera sghemba, usando immagini grandiose o volutamente banali, che sembrano venire dall'interno segreto del corpo ma amplificate da un megafono, metafore spezzate che il lettore deve riconoscere e ricomporre.
E allora la rivoluzione entra nella poesia di Majakovskij non come propaganda, ma come insurrezione dell'uomo nel mondo e nella natura: nella poesia più alta di Majakovskij le cose stesse si animano e sembrano desiderare un'altra vita, la società e i suoi riti sono camicie di forza da lacerare, e l'amore impastato di gioia e dolore è una rivolta contro la ristrettezza dell'Io, ma una rivolta sconfitta dalla passività di una realtà per niente rivoluzionata.
Per questo la poesia d'amore di Vladimir è rivoluzionaria in senso intimo, dissestata e dissestante e allo stesso tempo ingenua come è ingenua l'infanzia perenne dell'amore che si implora, che si vorrebbe immenso e non lo è mai abbastanza. E non fu certo strano se Majakovskij fin dall'inizio fu inviso ai funzionari di partito che lui odiava almeno quanto i «borghesi», e fu accusato di essere troppo legato all'intimità e di non essere abbastanza ottimista: i censori e i pidocchi della polizia segreta comunista sentivano chiaramente che la rivoluzione-fantasia di Vladimir era il contrario della loro, e che la sua ribellione al sudario delle convenzioni era una politica del «changer la vie» avversa alla loro criminale politica piccolo-borghese.
Poeta d'amore Majakovskij? Sì, e non inferiore ai più grandi, basta porgergli orecchio e ascoltare la sua musica cosmica e quietamente estatica, in cui il fiume Oka si specchia nella Via Lattea e viceversa: «L'una passata sei di certo a letto./ Oka d'argento è la Via lattea a notte./ Io non ho fretta, né motivo di svegliarti/ o con lampi di telegrammi angustiarti./ Come si dice, l'incidente è chiuso,/ la Barca-Amore sul tran-tran si è infranta./ Noi siamo pari, e non ha senso il conto/ delle reciproche ferite e offese./ Guarda che quiete è scesa sulla terra./ La notte tributa di stelle il cielo./ È in ore simili che ti alzi e apostrofi/ la Storia, i secoli, il creato intero».
E allora qual è il «vero» Majakovskij? Lo deciderà chi legge, ricordandosi che l'opera di un poeta non è il poeta stesso: la poesia, una volta fatta, vive della sua vita propria e del respiro dei lettori.