Mimmo Jodice, Saldamente sulle nuvole: un alfabeto per la bellezza

Mimmo Jodice non ha «usato» l'immaginazione, ma se ne è fatto abitare, e per questo è riuscito a rappresentare la povertà, la follia e la solitudine vibranti di oscure fiamme di vita

Mimmo Jodice
Mimmo Jodice
di Giuseppe Montesano
Martedì 25 Aprile 2023, 09:00 - Ultimo agg. 26 Aprile, 08:30
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Nel 1934 un bambino, Mimmo, nasce a Napoli, ai gradini Vita del rione Sanità; suo padre Mario, ricco di famiglia, dopo una «fuitina» ha sposato Anna, bella però di umili origini, e per questo è diseredato dal padre; Mario e Anna sono protetti dal prete zio Luigi, fratello anche lui ricco del padre di Mario, zio che aiuta il giovane colto a fare una casa editrice; ma Mario muore nel 1939 lasciando quattro figli e la moglie, e muore anche lo zio senza testamento, lasciando erede il padre di Mario; che per non farsi giudicare male dalla gente, trova un posto per la famigliola nel suo palazzo, dove però il piccolo Mimmo con mamma e fratellini cresce da parente povero, mentre i cugini sono principini ben vestiti con giocattoli lussuosi, finché poi, senza finire la scuola, come capita ai poveri, Mimmo va a lavorare e...

E così, riassunto alla meno peggio, che comincia non un romanzo d'appendice stile Mastriani ma Saldamente sulle nuvole, un selfportrait di Mimmo Jodice scritto con Isabella Pedicini e pubblicato da Contrasto, autoritratto di quel grande artista della fotografia che è Mimmo Jodice.

Il romanzo della vita di Jodice continua, con lui che fa il rappresentante di libri e il pittore e si innamora, riamato, di Angela, una studentessa di lingue anche lei povera, e la sposa; e con Angela che è come un altro sé stesso, scopre e si innamora della fotografia, frequenta il Pci e spera in un mondo più giusto per tutti, lavora molto come rappresentante e a un certo punto potrebbe fare una vita comoda, quando Angela decide che Mimmo non può morire strozzando in sé l'artista, e, pur avendo tre figli e uno stipendio da insegnante, lo spinge a licenziarsi e a dedicarsi alla fotografia: finché, dopo due tre anni durissimi ma in cui «ci sentivamo giovani e belli», la situazione comincia, lentamente, a cambiare, e lui, che non ha mai voluto lasciare Napoli, diventa un fotografo famoso nel mondo.

Nel tono di Saldamente sulle nuvole si sente la grana della voce di Mimmo, e dentro la sua quella della moglie Angela, che narra con ironia, tenerezza e passione vicende e persone che sono un ritratto di un'Italia tra i Sessanta e i Settanta che oggi sembra un sogno vietato.

Ma il libro accompagna alla vita personale fotografie di momenti-chiave dell'artista Jodice e considerazioni sul proprio fare fotografia come arte, finendo così con l'essere anche un libro che, meglio di tante analisi critiche, rivela molto sull'arte di Jodice. Dagli inizi febbrilmente e volutamente sperimentali alle fotografie di Chi è devoto, da Vedute di Napoli ad Attesa alle foto «archeologiche» e fino a Eden e a Transiti, scopriamo in Jodice una radicale protesta: l'immaginazione che si leva contro il male dell'esistenza e va alla ricerca di una bellezza inseparabile dalla verità. Osservi il lettore quel capolavoro che è «Eden opera 27», e capirà perché Jodice dice in queste pagine che prima di scattare ha bisogno di vedere, ma ancora più ha bisogno di pensare. In realtà Mimmo ha bisogno di fare spazio nella testa per fare spazio nello sguardo e far accadere la fotografia secondo le leggi dell'immaginazione: così in «Mare nero» o «Chicago 2000» la realtà appare una rivelazione perché l'artista non ha fotografato soltanto delle «cose», ma ha fatto apparire il rovescio segreto in cui quelle cose hanno un'anima. E non usando, come tanti e troppi, un puro procedimento tecnico, ma entrando in una forma dell'esistere che unisce fisiologia e pensiero a sapienza tecnica: «Il bianco e nero spinge a supporre le cose, a immaginarle. Se fotografo il verde, nella foto in bianco e nero diventa grigio chiaro. Ma qual è la realtà? Potrebbe essere arancione, viola, giallo. Col bianco e nero entra in campo l'immaginazione».

 

Mimmo Jodice non ha «usato» l'immaginazione, ma se ne è fatto abitare, e per questo è riuscito a rappresentare la povertà, la follia e la solitudine vibranti di oscure fiamme di vita, facendo affiorare in loro non la miserabile bellezza dell'estetismo, ma la bellezza difficile e sempre in bilico della verità. Non ha mai smesso di credere che il mondo potesse cambiare come pensava da giovane, e la sua arte lo dice secondo un alfabeto ogni volta imprevedibile, nuovo: ed è una consolazione per chiunque non voglia essere un morto vivente, in un mondo con le bende sugli occhi e quindi sulla mente, imparare a leggere il suo alfabeto amorosamente, misteriosamente ribelle. 

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