La tomba è quella di una bambina, nel raffinato corredo spicca un vaso per bere il vino, gli archeologi lo hanno battezzato «Il calice dei Rasunie», molto probabilmente donato ai genitori della piccola defunta, come fa intuire l'iscrizione sulla vasca: «io (sono) il dono per Venela e Velchae Rasuniesi». Rasunie spiegano Carmine Pellegrino e Luigina Tomay, curatori di «Per terra e per mare. Gli Etruschi di frontiera tra mobilità e integrazione» da stasera (inaugurazione alle 18) al 10 dicembre al Museo archeologico di Pontecagnano è il nome della famiglia; deriva da Ras(e)na, l'appellativo con cui gli Etruschi designavano se stessi come comunità politica».
Siamo in età orientalizzante (ultimo quarto VIII-VII secolo a.C.): la città fondata agli inizi del IX secolo a.C. nella piana del Picentino da genti provenienti dall'Etruria meridionale è nel pieno della sua potenza economica, ostentata anche nei riti funerari delle casate aristocratiche, «principi» e «principesse» che vengono sepolti in tombe monumentali con i segni del loro rango: vasi, armi, arredi, gioielli preziosi ed esotici, provenienti da diverse aree italiane e del Mediterraneo. Un esempio, tra i tanti oggetti splendidi di questa mostra voluta dalla direzione regionale dei musei della Campania, affidata a Marta Ragozzino, in collaborazione con l'università di Salerno, con il patrocinio del Comune di Pontecagnano Faiano e il supporto della Regione attraverso Scabec è la coppa di bronzo con tori e giovenche che allattano un vitello, un'importazione dalla Siria, unica in tutto l'Occidente.
Di reperti notevoli ce ne sono tanti, a partire dagli albori dell'insediamento creato, inglobando quelli autoctoni, dai nuovi arrivati in una posizione adatta all'agricoltura e nodale per le comunicazioni terrestri e marittime.
Insieme irpini, etruschi, greci, enotri: una comunità allargata - lo scopriamo dalle iscrizioni - forgiata intorno a un bicchiere di vino, come testimoniano le coppe da simposio, tutte di pregevole artigianato d'importazione o di imitazione, giacché in loco c'erano anche botteghe di qualità come quella del Pittore del Lupo cattivo che non aveva niente da invidiare a ceramografi greci del rango di Assteas. «La mostra nasce dallo studio e dai progressi nella ricerca scientifica dovuti anche ai rinvenimenti successivi al museo», sottolinea Tomay: «Propone una narrazione che si dipana in senso cronologico trattando la mobilità di persone e la circolazione di oggetti, la peculiarità di produzioni artigianali e la condivisione di modelli di comportamento e ideologie, temi che si ricollegano e si ricompongono restituendo un quadro ampio e affascinante, dove la grande storia di popoli e civiltà del Mediterraneo antico si intreccia con le piccole storie». Che scorrono nella sequenza di vetrine, allestite dall'architetto Lucia Anna Iovieno sul concetto del meticciarsi di culture in una città prospera già dall'Età del Ferro, tant'è che vi giungevano materiali provenienti da Sardegna, Sicilia, Grecia, Egitto e Medio Oriente. Ecco ben in vista scarabei, pendagli di bronzo, parure d'ambra, fibule in oro e argento, la spada con l'elsa d'avorio decorato e oro, lo scettro in bronzo, l'ascia sacrificale col manico d'avorio intarsiato d'ambra, il cinerario in argento, il carretto, sorta di vassoio, proveniente dal museo di Firenze, una carrellata di vasi di svariate forme e decori ed armi ben conservate. La «fortuna» di Pontecagnano durerà fino all'arrivo di guerrieri di stirpe italica, mercenari probabilmente, come documentato nella vicina Paestum. Li conosciamo dalle fonti come Sanniti; scontri, conflitti, la città dell'accoglienza cambia assetto: «Siamo a Picentia. Siamo in una nuova storia». Ancora da raccontare