Morto Gaetano Pesce, l’iconoclasta del design

L’architetto-artista scomparso a 84 anni. Tra le sue opere più iconiche la poltrona antropomorfa Up5, simbolo delle schiavitù a cui la società contemporanea assoggetta la donna, diventata scultura, e l'ultima verrà esposta a Napoli

Gaetano Pesce
Gaetano Pesce
di Lorenza Fruci
Venerdì 5 Aprile 2024, 07:33
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Il mondo dell’arte perde, con Gaetano Pesce, designer, architetto e scultore, un esponente importante quanto personale. L’artista è morto avant’ieri, all’età di 84 anni, a New York, dove viveva dal 1980 e lavorava nel suo studio a Brooklyn, ma era nato in Italia, a La Spezia, l’8 novembre 1939, da padre fiorentino e madre veneziana.

Studiò architettura e design a Venezia, prima allo Iuav e poi all’Istituto di disegno industriale (tra il 1958 e il 1963).

Curioso, di una curiosità che continuò a nutrire costantemente, si dedicò al design radicale (teorizzato da Germano Celant), favorito da un contesto storico che stava rimettendo in discussione usi e costumi.

Gli anni Sessanta, con la rivoluzione sessuale che mise al centro la donna e la sua emancipazione, lo trovarono in sintonia e con il suo linguaggio espresse la sua posizione politica. Nel 1969 creò la celebre poltrona Up5 che rimarrà nella storia del design per la sua forma a grembo materno che rievoca le dee della fertilità. A questa legherà, come una palla al piede, il pouf Up6 per rappresentare la sottomissione in cui vive la donna da secoli. Le forme femminili, accoglienti e avvolgenti, sono la culla della seduta: «Ricordo che con quella poltrona ho voluto parlare di una condizione umana: la prigionia della donna vittima dei pregiudizi degli uomini, perché vive in condizioni ancora inaccettabili in certi paesi».

Up5 e Up6 fanno parte di una serie di sette poltrone tutte con riferimenti antropomorfi progettate da Pesce e realizzate dalla C&B, poi B&B Italia, con schiuma poliuretanica flessibile, le prime confezionate «sottovuoto» e senza telaio. Le Up1, Up2, Up3 sono poltrone basse sferiche, la Up4 è un divano a due posti, mentre la Up7 ha la forma di un piede statuario che per l’artista rappresenta la volontà dell’uomo di andare sempre avanti.

Ma le sensibilità cambiano: quando nel 2019 Pesce realizzò la «Maestà sofferente», versione gonfiabile della famosa poltrona alta 8 metri trafitta da 400 frecce, come una metafora della violenza sulle donne, esposta in piazza Duomo a Milano in occasione della «Design week» (oggi a Ferrara), i movimenti femministi la contestarono fortemente per la rappresentazione della donna come vittima.

Per Pesce i confini tra arte, design e industria furono sempre irrilevanti perché l’arte non doveva essere qualcosa da mettere su un piedistallo, ma la risposta creativa alle esigenze del tempo in cui si vive. Sono suoi anche la lampada Moloch, il divano Tramonto a New York, il tavolo Sansone, le poltrone Feltri, le sedie Dalila, la poltrona Yeti.

Portò il suo spirito sperimentale anche in architettura, realizzando il loft verticale (con i muri in mattoni di poliuretano, 1982), l'Organic Building di Osaka (rivestito in plastica, 1990), la nuova sede dell'agenzia pubblicitaria Tbwa Chiat Day di New York (1994), il Souvenir Shop del Millennio di Avignone (in silicone, 2001) e il Pescetrullo (casa pugliese costruita con casseforme di legno e poliuretano, 2008).

Per lui l’architettura era «una cosa sublime che accade in momenti rarissimi dove ci sono tre coincidenze che arrivano nello stesso momento: la novità del linguaggio, della tecnica e dei materiali». Ricorda Andrea Cancellato, direttore di Adi Design Museum di Milano, che «il suo sogno era quello di realizzare una sorta di grattacielo pluralista, dove ogni piano fosse progettato da un architetto diverso. Era contro la standardizzazione. Da una parte aveva grande voglia di sperimentare, di innovare, di ricercare soluzioni, e dall’altra quella di personalizzare la relazione tra l’oggetto e il suo interlocutore».

Per 28 anni Pesce ha insegnato a Strasburg, Pittsburgh, Milano, Hong Kong, San Paolo e New York. Le sue opere sono esposte nelle collezioni permanenti del MoMA di New York, del Victoria and Albert Museum di Londra e del Centre Pompidou di Parigi.

Tra le mostre da ricordare quella del 1972 «Italy: the new domestic landscape» al Moma di New York, dove venne salutato come un designer «rivoluzionario», la retrospettiva «Le temps des questions» al Centre Pompidou di Parigi nel 1996 e quella alla Triennale di Milano nel 2005 sul «rumore del tempo».

Molti ancora i progetti in cantiere, tra cui la mostra «Nice to see you - L’uomo stanco» per la Pinacoteca Ambrosiana che la ospiterà per la prossima «Design week» di Milano. Napoli aveva avviato con l’artista un progetto nell’ambito della rassegna comunale “Napoli contemporanea” che, per volontà del sindaco Gaetano Manfredi, avrà seguito con l’esposizione in Villa Comunale dell’opera «Tu si ‘na cosa grande» dedicata appunto a Napoli citando la canzone di Modugno e Pazzaglia.

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