Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit: «Conviene anche al Nord chiudere i divari territoriali»

Il manager torna a Napoli conb il board: «Ho trovato una città profondamente cambiata in meglio»

Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit
Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit
di Nando Santonastaso
Venerdì 26 Maggio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 27 Maggio, 09:04
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Dottor Orcel, per la prima volta si sono riuniti a Napoli il Comitato esecutivo e il Board di UniCredit, ovvero la cabina di regia della banca: un omaggio alla città o cosa?
«Intanto, da quando sono Ceo, insieme al Presidente Pier Carlo Padoan, è la seconda volta che il Board è itinerante, dopo Roma e prima delle altre tappe previste a Monaco e Vienna: è una scelta che punta a favorire il contatto diretto e la conoscenza della realtà dei territori in cui siamo radicati», risponde con grande sincerità Andrea Orcel, amministratore delegato di UniCredit che sotto la sua guida ha ottenuto risultati significativi, a cominciare dai profitti, con un utile 2022 di 5,2 miliardi di euro e l'ultimo trimestre che è stato il migliore di sempre.

E l'impressione su Napoli com'è stata?
«Sono tornato una trentina di anni dopo essere stato impegnato in città, con la banca d'affari per la quale allora lavoravo, nella privatizzazione del Banco di Napoli.

Rispetto ad allora ho trovato una città profondamente cambiata in meglio».

Entusiasmo post scudetto nel calcio o dati economici incoraggianti?
«Napoli è il paradigma di un Sud che sta crescendo, a dimostrazione del fatto che l'antica frattura del Paese dev'essere superata una volta per tutte. La spinta di cui ha bisogno l'Italia non può che arrivare dalla riduzione di questo divario e a beneficiarne saremo tutti. Ecco perché tra i miei obiettivi alla guida di UniCredit c'è stata sin dall'inizio la necessità di dare la stessa attenzione al Nord e al Sud. E dunque di capire cosa potevamo fare di concreto a Napoli».

Ovvero, sponsorizzare il teatro di San Carlo, essere al fianco del Terzo settore
«Esattamente. Ma quando abbiamo colto l'opportunità del San Carlo non ci siamo limitati all'aspetto culturale che ha un valore a dir poco inestimabile ma anche a quello sociale. Ci siamo interessati anche delle Officine del Teatro perché volevamo collegare quella storia alle opportunità di lavoro da garantire ai giovani, contribuendo a costruire il loro futuro sul territorio, non lontano da esso. L'importante, lo ripeto spesso, è credere nell'obiettivo prefissato: lo scudetto, ad esempio, un'impresa davvero eccezionale, ne è la dimostrazione più evidente ed è un esempio anche per noi di UniCredit. Se uno ci crede e ci mette tutto se stesso, il risultato alla fine arriva».

C'è un Sud in movimento da qualche tempo, coglie anche lei questa tendenza?
«Assolutamente. Il problema è una comunicazione ancora carente delle potenzialità offerte da quest'area. Ci sono opportunità per fondi di investimento al Sud anche migliori di quelle tradizionalmente offerte al Nord ma non si conoscono. Ripartire da un marketing del Sud adeguato alle sue potenzialità deve diventare una necessità urgente. Noi stiamo cercando di fare questo, continuando a sostenere l'economia con un erogato imprese cresciuto del 13 per cento nell'ultimo anno nonostante il contesto difficile, assumendo 150 giovani dal 2021 e offrendo i nostri servizi a 2 milioni di clienti nel Mezzogiorno».

Nel frattempo, sul Pnrr si addensano dubbi e prospettive non proprio ottimistiche.
«Non entro nel dibattito politico. Mi limito ad osservare che se anche si spendesse solo una parte dei miliardi del Pnrr, riservando come prevede la legge il 40% al Sud, e la si utilizzasse bene, l'effetto sarebbe estremamente positivo. Si tratterebbe di fondi aggiuntivi e reali al Sud per investimenti in infrastrutture e crescita tecnologica delle imprese: non sarebbe una svolta a tutti gli effetti? Credo proprio di sì. E che dire degli enormi margini di crescita legati alle energie rinnovabili del Sud? Ora bisogna buttare il cuore oltre l'ostacolo: noi abbiamo sostenuto la Gigafactory a Catania che diventerà la più grande fabbrica europea di moduli fotovoltaici e il nuovo impianto per le batterie al litio a Caserta, un settore sempre più strategico per l'automotive».

La crescita, sia pure lenta, del Sud è dipesa in questi mesi in gran parte dal turismo: ma può bastare in una prospettiva a lungo termine?
«Il turismo è una delle maggiori potenzialità del Sud ma non l'unica. Bisognerà comunque aumentare gli investimenti in infrastrutture turistiche per consolidarne i margini di crescita. Anche la sfida tecnologica può assumere un valore strategico: basta vedere cosa è accaduto a Napoli con l'insediamento di Apple e di altre Academy attraverso l'università Federico II, dove abbiamo investito anche noi con il nostro Techno Hub, e ricordare che la Campania è la terza regione per numero di startup innovative. Se si creano le condizioni per migliorare l'offerta di lavoro, Napoli avrebbe tutte le carte in regola per vincere la sfida dell'attrattività. Si eviterebbe di formare persone che poi inevitabilmente se ne andranno perché non c'è un tessuto adeguato alle loro competenze. Tematiche che affronteremo anche nel Forum di territorio di giugno con i principali stakeholders».

Le Zes possono incidere in questa prospettiva di cambiamento?
«Senza alcun dubbio. Se si riesce ad avviare un ciclo con le Zes, il Pnrr e altre scelte coerenti, si arriverà ad andare oltre i sussidi, com'è già accaduto in Irlanda, che in passato ha beneficiato di tanti sostegni alla crescita, li ha messi a regìme e ora garantisce servizi finanziari di assoluta affidabilità. Se vuoi creare un fondo di investimento o vai lì o nel Lussemburgo. L'Italia, anche grazie alla legge sul rientro dei cervelli, può competere con altri Paesi consentendo di compensare la differenza di stipendi che altri sono in grado di garantire. Per far diventare strutturale questo sistema, però, vanno migliorate anche le condizioni di attrattività del nostro Paese, altrimenti tutto rischia di diventare inutile». 

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