Fondi Ue, con 83 miliardi decolla il ciclo 2021-2027

Fondi Ue, con 83 miliardi decolla il ciclo 2021-2027
di Nando Santonastaso
Giovedì 9 Dicembre 2021, 23:30 - Ultimo agg. 11 Dicembre, 09:24
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C’è l’Italia che può spendere, in gran parte concentrata nel Centro-Nord. E quella, quasi tutta nel Mezzogiorno, che vorrebbe farlo ma non può perché, soprattutto, non ha capacità amministrative adeguate. 

Il paradosso è che per l’una e per l’altra i soldi ci sono, anzi non sono mai stati così tanti. Prendete il Fondo sviluppo e coesione, al centro ieri della prima delle due giornate dedicate all’ascolto delle Regioni (e non solo) sulla nuova programmazione 2021-27, organizzate dal ministro per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna con il titolo “Uniamo l‘Italia”. 

Nei prossimi sette anni l’Italia potrà spendere 73,5 miliardi di risorse nazionali (23,5 miliardi in più rispetto al ciclo precedente), 54 dei quali destinati al Mezzogiorno in base alla ripartizione 80% Sud, 20% Nord. Tantissimi soldi che sommati in chiave meridionale agli 82 miliardi del Pnrr e agli oltre 50 miliardi degli 83 complessi previsti per i Fondi strutturali europei 2021-27 fanno venire il capogiro. Il guaio è che bisognerebbe spenderli e bene per non continuare a considerarli solo come poste in bilancio senza ricadute concrete com’è avvenuto finora proprio per il Fondo sviluppo coesione. Che, oltre tutto, ha finito spesso per essere utilizzato come bancomat da varie amministrazioni dello Stato per fini decisamente diversi dalla riduzione dei divari territoriali per i quali era stato pensato, come ricorda puntualmente la stessa Carfagna introducendo la “due giorni”. 

Non è perciò un caso che dal giro di interventi di ieri, i presidenti delle Regioni di tutta Italia o i loro delegati si trovino d’accordo – sia pure partendo da posizioni assai diverse – nel chiedere un uso più flessibile e rapido di queste risorse. Ad esempio, destinandole alla copertura almeno parziale del co-finanziamento che deve accompagnare, per legge, la richiesta di finanziamenti europei per i progetti locali. 

«Con quello che c’è nel nostro bilancio e considerate le note difficoltà di capacità amministrativa, abbiamo un’enorme difficoltà a co-finanziare.

Rischiamo di non poter accedere ai fondi strutturali europei e comunque di non riuscire a spendere i soldi che ci arriveranno», dice con molta chiarezza il governatore della Calabria, Occhiuto. E con lui si schierano non solo altri governatori di Regioni “deboli”, come il molisano Toma, o l’assessore Cupparo della Basilicata, ma anche chi ha altri motivi per spiegare come mai finora l’approccio all’Fsc è stato così modesto. Il presidente abruzzese, Marsilio, spiega ad esempio che non è sempre colpa della capacità di spesa delle Regioni ma anche di eccessivi cavilli burocratici che coinvolgono organi istituzionali di controllo della spesa pubblica. O l’assessore sardo Fasolino che mette il dito nella piaga quando dice che «serve più semplificazione nelle procedure, specie se bisogna riproporre un progetto per accedere all’Fsc con modifiche non sostanziali».

Persino dal Nord efficiente e organizzato il tema fa proseliti: «Sì e subito all’utilizzo del Fondo sviluppo e coesione per i co-finanziamenti e sì anche al riparto delle nuove risorse perché le Regioni sappiano già su cosa poter contare in questi anni e su chi farà cosa», dice con estrema concretezza l‘assessore emiliano Baruffi. Dal Veneto, poi, arriva anche l’invito «a coinvolgere di più le Regioni dopo un settennato che ha visto sul Fondo sviluppo e coesione una gestione troppo centralizzata». 

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Insomma, per l’Fsc sembra arrivato il momento di cambiare passo. Ed è proprio questo l’obiettivo della Carfagna, che proprio ieri annuncia con soddisfazione l’avvenuta presentazione alla Commissione europea dell’Accordo di partenariato italiano sui fondi strutturali europei 2021-27, ovvero l’intesa tra governo e Regioni su come spendere le risorse della programmazione europea ordinaria del prossimo settennato, anche se di fatto il 2021 è ormai già andato. Il ministro aveva non a caso trasmesso in precedenza a tutti i presidenti di Regione una proposta che prevede dodici aree tematiche su cui far confluire i nuovi soldi dell’Fsc, chiedendo di integrarla con ulteriori suggerimenti in chiave territoriale e insediando anche una Commissione ad hoc di esperti per contribuire all’obiettivo finale. 

«Siamo in presenza di un finanziamento paragonabile al Pnrr – dice Carfagna – e merita una programmazione attenta, condivisa e costantemente monitorata». Di qui l’idea che il “modello Pnrr”, come osserva il ministro dell’Economia Daniele Franco nel suo intervento, possa diventare il punto di riferimento operativo anche del Fondo sviluppo e coesione. Ovvero, uno strumento dotato di cronoprogramma, procedure semplificate e valutazione dei risultati raggiunti attraverso la definizione di obiettivi qualitativi e quantitativi. «Serve una visone d’assieme», dice in particolare Franco, ribadendo che da solo il Pnrr non riuscirà a eliminare il divario ma che le ingenti risorse in campo (il ministro parla di 370-380 miliardi per l’Italia nei prossimi sei anni, «quasi 60 miliardi all’anno»), sono un’occasione irripetibile. «Un dato che se confrontato con i 45-50 miliardi che la Pa spende ogni anno per gli investimenti, dà la misura della potenza di fuoco che abbiamo». 

Il punto è che poi i soldi bisognerà spenderli e fa decisamente bene l’assessore regionale campana Valeria Fascione a sottolinearlo: «Le complesse fasi di concertazione che abbiamo affrontato in questi anni per utilizzare le risorse della Coesione alla fine hanno rallentato i progetti. Ne abbiamo ancora alcuni del ciclo di programmazione 2000-2006 perché bisogna mettere mano anche a semplici modifiche e dunque occorre sempre tornare indietro. Concedere più margini alle singole autorità di gestione aiuterebbe a sveltire le procedure e a realizzare gli obiettivi». 

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