Fondi Ue, il Sud non spende ma con il Pnrr si volta pagina: addio all’agenzia Coesione

Su 126,6 miliardi ne sono stati spesi solo 46,1, compresi gli interventi per il Covid

Il ministro Raffaele Fitto
Il ministro Raffaele Fitto
di Nando Santonastaso
Sabato 18 Febbraio 2023, 23:42 - Ultimo agg. 20 Febbraio, 07:28
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Politiche di Coesione non più separate in casa con il Pnrr ma sempre più integrata con esso; nuova governance accentrata a Palazzo Chigi e rafforzata, a partire dal Dipartimento della Coesione, per accrescere il coordinamento dei progetti e della spesa delle risorse Ue e nazionali; addio all’Agenzia per la Coesione territoriale, istituita nel 2014, e soppressa con il nuovo decreto Pnrr, appena approvato dal governo.

La profonda riorganizzazione preannunciata più volte in questi mesi dal ministro per gli Affari europei, il Sud, il Pnrr e le Politiche di coesione, Raffaele Fitto, e formalizzata l’altro giorno in Consiglio dei ministri, ha un obiettivo dichiarato, soprattutto in chiave Mezzogiorno. Evitare sovrapposizioni di programmi nella gestione dei fondi europei (straordinari ed ordinari), e nazionali della Coesione, semplificando e uniformando i passaggi, ma soprattutto garantire la messa a terra delle risorse disponibili ma ancora non utilizzate. E che quest’ultimo sia il presupposto di tutto il nuovo corso sono i dati contenuti nella Relazione sulla Politica di Coesione 2014-20, illustrata dallo stesso Fitto al Cdm, a documentarlo. 

Tra fondi strutturali (Fse e Fesr) e relativo cofinanziamento nazionale, e Fondo sviluppo e coesione (destinato all’80% alle regioni meridionali) i pagamenti a ottobre scorso non andavano oltre il 34%.

Ovvero, su 126,6 miliardi assegnati all’Italia ne erano stati spesi solo 46,1, compresi gli interventi di emergenza per il Covid finanziati con risorse Fsc. Senza di essi, i pagamenti scendono a 36,5 miliardi su 116,2 (31,5%). Per i fondi europei, in particolare, anch’essi assegnati per circa il 75% al Mezzogiorno e per i quali la rendicontazione scadrà a fine anno, occorrerebbe spendere ancora 29,9 miliardi di euro (ovvero, il 46% del valore delle risorse programmate), più di due terzi al Sud. In poco meno di un anno, come spiega il Sole 24Ore, bisognerebbe rendicontare quanto è stato speso dal 2015 ad oggi. Per il Fondo sviluppo e coesione lo stato dell’arte è anche più negativo: la percentuale di pagamento è del 13,2% in riferimento ai piani Psc e dell’11,7% per quanto riguarda i Poc, le due articolazioni tecniche dell’Fsc. 

Accelerare, dunque, è l’imperativo categorico del governo per evitare il disimpegno almeno delle risorse europee non spese e ripensare complessivamente l’attuazione delle Politiche di coesione, la vera cassa cui attingere per ridurre i divari. La svolta si annuncia profonda e complessa, ancorché politicamente solida, e non priva di dubbi: dalle aree interne della Campania, ad esempio, si guarda con preoccupazione al futuro delle risorse previste per le infrastrutture sociali, le farmacie rurali e i contributi per la progettazione degli enti locali che erano in carco all’Agenzia appena soppressa e la cui spesa al momento è ferma. Ma è anche una sfida per il Mezzogiorno rimasto abbondantemente ultimo tra le aree europee in ritardo di sviluppo nonostante le ingenti risorse della politica di coesione degli ultimi 15 anni, come Fitto ha spesso sottolineato. Esplicito il suo riferimento all’utilizzo di questi fondi non in maniera addizionale, come previsto dall’Ue, ma spesso come spesa ordinaria resasi necessaria, va detto, per compensare il profondo calo della spesa per investimenti al Sud negli ultimi 15 anni. 

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Il ministro peraltro guarda con la stessa attenzione anche al nuovo ciclo di programmazione 2021-27, che di fatto non è ancora iniziato, e alla revisione di strumenti come i Contratti istituzionali di sviluppo su cui aveva insistito molto il precedente governo. Fitto nella relazione spiega che di essi si è fatto spesso un uso distorto e che molte criticità della Politica di Coesione sono legate alla “spoliazione” dei programmi a favore di micro-interventi territoriali di carattere emergenziale, sganciati cioè da una forte analisi di contesto e valutativa. Alla base resta però l’esigenza di aiutare il Paese a spendere e progettare, anche perché oltre il 2026 per il Pnrr non si potrà andare: «L’esperienza della programmazione 2014-20, così come le analisi realizzate dalla Commissione europea nell’ambito del Semestre europeo, individuano nella debolezza della capacità amministrativa una delle principali sfide per il Paese in particolare per quanto riguarda gli investimenti, l’attuazione delle norme in materia di appalti pubblici e l’assorbimento dei Fondi Ue», si legge nel documento voluto da Fitto. È probabilmente la sfida-chiave da vincere, anche perché i segnali che arrivano dalla macchina pubblica sono contrastanti: alla fuga dai concorsi si contrappone l’aspirazione dei laureati assunti a tempo come tecnici per il Sud (circa 2mila) e già al lavoro presso enti e amministrazioni di restare dove sono ma con contratti pieni. Lo hanno chiesto a Fitto ricordando che per 500 colleghi del Mef, assunti alle stesse condizioni, l’ok è già arrivato. 

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