Rincari, pagare e vivere con l'inflazione al 7% come nel 1986

Rincari, pagare e vivere con l'inflazione al 7% come nel 1986
di Nando Santonastaso
Mercoledì 1 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo agg. 2 Giugno, 08:04
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Chi ha più di cinquant'anni li ricorda bene quei giorni e in parte non può non richiamarli alla memoria oggi che certe assonanze con la guerra in Ucraina sembrano evidenti. Il 1986 come oggi, l'inflazione al 7% quasi come quella di adesso ed era comunque in leggero calo rispetto all'inizio di quell'anno, quando aveva toccato l'8% per poi attestarsi a dicembre al 5,5%. 

Gli italiani di allora abituati peraltro già da tempo a convivere con un costo della vita così alto. Tredici anni prima l'inizio della crescita, quasi senza limiti, dell'indice inflattivo. Correva il 1973, Siria ed Egitto attaccano Israele e i Paesi arabi riuniti nell'Opec colpiscono l'Occidente filo-israeliano con l'embargo dell'export di greggio. Il prezzo del barile schizza da 3 a 11 dollari e anche per noi italiani inizia uno dei decenni più difficili dalla fine della Seconda guerra mondiale: scopriamo l'austerity, con pesanti restrizioni sui consumi energetici, le domeniche a piedi e senza l'uso di automobili e biciclette, il ritorno obbligato alla bicicletta, la Rai che non trasmette oltre le ore 23 e così via; immagini che oggi ci vengono riproposte dai tg per ricordare le possibili conseguenze di un nuovo periodo di austerity; Soprattutto quel periodo di ricorda che l'inflazione è un mostro a due cifre e che così resterà fino alla metà degli anni '80, sempre più alta rispetto ai maggiori Paesi europei e con il record del 21% toccato nel 1980.

Gli shock petroliferi del '73 e del 79 diventano lo spartiacque tra la stagione del boom economico, con l'Italia capace di crescere ben più dei suoi partner continentali, con un'inflazione al 3,3%, e quella successiva, molto meno euforica, condizionata anche dall'esplosione del terrorismo politico e da scelte molto dibattute sulla gestione dei conti pubblici. 

In realtà, già nel 1971 erano iniziate le sfortune dell'Italia, come furono definite: la fine degli accordi di Bretton Woods e il conseguente sganciamento della lira dal dollaro indeboliscono pesantemente la nostra moneta. Ha scritto l'ex ministro dell'Economia, Giovanni Tria: «Lo shock petrolifero degli anni 70 generò inflazione a due cifre perché l'aumento del prezzo del petrolio determinava un trasferimento di reddito dai Paesi consumatori ai Paesi produttori, e quindi il contenimento dei salari e dei profitti nei primi. Il tentativo di contrastare questo trasferimento avviò una spirale inflazionistica, sconfitta con politiche monetarie restrittive, con perdita di attività produttiva e occupazione».

Sono gli anni della scala mobile, con l'accordo tra il presidente della Fiat Giovanni Agnelli e il segretario della Cgil Luciano Lama, e il trasferimento degli aumenti provocati dalla crisi petroliera direttamente alle retribuzioni ma «con il risultato di alimentare ulteriori rincari», ha commentato ieri il governatore Ignazio Visco. Gli anni di decisioni poco conosciute forse ma sicuramente storiche, come quella del 1976 quando il governo dell'epoca, come ricorda l'ex ministro Paolo Cirino Pomicino, dovette dare l'oro della Banca d'Italia in pegno alla Bundesbank per ottenere un prestito. 

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Ma sono soprattutto gli anni che segnano l'inizio dell'espansione massiccia del debito pubblico, considerata allora la strada migliore per non impoverire ulteriormente i ceti più deboli e tutelare almeno in parte salari e potere d'acquisto: «Noi a fine anni '70 ci trovammo ad affrontare 3 problemi - dice ancora Pomicino -: terrorismo, alta inflazione, debito pubblico. In tutti gli anni 80 in Francia e Germana la spesa pubblica crebbe di 10 punti come da noi in Italia ma aumentò di 10 punti anche la pressione fiscale mentre noi la tenemmo sotto controllo al punto che fino al 1986-87 era ferma al 35-36%, molto al di sotto dei due Paesi. Facemmo delle scelte, insomma: decidemmo di risolvere quei problemi mettendo da parte la tenuta dei conti pubblici. E l'Italia cresceva a un buon ritmo rispetto ai tassi di oggi. Quando noi facemmo debito pubblico, la spesa in conto capitale dello Stato era del 5%, quindi parte di quel debito fu utilizzato per fare investimenti e far crescere il Paese. Invece nella seconda Repubblica, negli ultimi 25 anni, che cosa è successo? La spesa in conto capitale si è dimezzata, la crescita è diventata anemica ma contemporaneamente il debito non è diminuito ma si è triplicato in valore assoluto». 

Nasce non a caso alla fine degli anni Settanta una politica monetaria più rigorosa. È il 1981, infatti, quando proprio per via dell'inflazione a doppia cifra, il governo Spadolini, con Beniamino Andreatta al Tesoro, e la Banca d'Italia di cui era governatore Carlo Azeglio Ciampi, definirono il cosiddetto divorzio Bankitalia-Tesoro. Fino a quel momento, l'Istituto centrale garantiva l'acquisto integrale dei Bot emessi, alimentando così, con l'emissione di nuova moneta, la corsa dei prezzi al consumo.

Con il divorzio, il Tesoro fu costretto a raccogliere sul mercato dei capitali la provvista finanziaria necessaria per coprire il disavanzo pubblico. «All'assemblea della Banca d'Italia del maggio 1981, interpretando l'anima dell'istituto che mi era stato da poco affidato, indicai tre condizioni per restituire al Paese stabilità monetaria ricordò anni dopo Ciampi -: una politica dei redditi volta alla disinflazione; una banca centrale completamente indipendente; il pieno controllo del bilancio pubblico e della conseguente creazione monetaria». Tre obiettivi che hanno pesato negli anni successivi. 

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