I mini cristalli di Cern e Federico II
per proteggere acceleratore gigante

Walter Scandale (a sinistra) e Pasquale Arpaia
Walter Scandale (a sinistra) e Pasquale Arpaia
di Cristian Fuschetto
Mercoledì 14 Giugno 2017, 12:57
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«Dove andranno mai le anatre di Central Park quando il lago gela?» si chiedeva il giovane Holden quasi 70 anni fa. Figli di un’epoca dalle suggestioni decisamente più hi-tech potremmo oggi parafrasare l’eroe di Salinger e chiederci dove diavolo vanno a finire le particelle del Cern una volta lanciate (quasi) alla velocità della luce. Forse, come le anatre, volano via? In un certo senso sì, col piccolo particolare che se lasciate a se stesse manderebbero in frantumi tutto quel che incontrano. Ecco perché svolgono un umile quanto strategico ruolo per il funzionamento del più grande laboratorio di fisica al mondo 108 collimatori, marchingegni fantastici un po’ scudi e un po’ spazzini. Come scudi proteggono dalla potenza distruttrice della radiazione del fascio di particelle i 1600 i magneti del Large Hadron Collider (Grande Collisore di Adroni), come spazzini raccolgono uno a uno elettroni, positroni, protoni, antiprotoni e compagnia bella ripulendo i 27 chilometri del percorso.

A proteggere e ripulire il tunnel del Cern sono oggi dei collimatori molto grandi e molto costosi. Grazie a un fisico italiano potrebbero presto essere piccoli, leggeri ed economici. Una svolta con ricadute importanti non solo per potenziare la ricerca dei segreti della materia, ma anche in campo medico. Gli acceleratori di particelle sono infatti utilizzati in casi molto particolari nella lotta ai tumori. Cominciata dieci anni fa, quest’avventura scientifica vede protagonisti anche molti ricercatori campani.

Nanocristalli al posto di gigantesche scatole di carbonio
La struttura primaria dei collimatori è formata da un blocco di carbonio ciascuno grande quanto un grosso baule e dal costo di centinaia di migliaia di euro. Il fisico italiano Walter Scandale, in questi giorni a Napoli per una serie di lezioni alla Federico II, ha inventato un sistema in grado di sostituire questi grandi blocchi di carbonio con cristalli di 4 millimetri e dal costo di poche centinaia di euro. Iniziato dieci anni fa al Cern, l’esperimento di Scandale (UA9) è ormai diventato virale nella comunità scientifica internazionale perché a costi notevolmente ridotti permetterebbe di dotare ogni acceleratore di particelle di un sistema di collimazione più efficiente e meno invasivo. «La collimazione – spiega Scandale, tra i fisici che hanno progettato lo stesso LHC e membro del Comitato scientifico del Laboratoire de l’Accélérateur Linéaire Orsay Laboratory a Parigi – consiste nell’eliminazione delle particelle non allineate che circondano il fascio, il cosiddetto alone del fascio. Questo sistema è vitale per evitare disfunzionamenti e mantenere integre le strutture». Solo i magneti, per dire, costano 1 miliardo e mezzo.

Il team campano in UA9
A dimostrazione del fatto che il Cern, oltre a essere un tempio scientifico è anche - come immaginarono i suoi fondatori - un grande esperimento di pace, sotto la guida di Scandale lavora un team, oltre al personale del Cern, lavora un team di cinquanta ricercatori provenienti da Italia, Francia, Regno Unito, Russia e Ucraina. Ad impreziosire la squadra anche numerosi ricercatori campani: Roberto Losito, direttore del Dipartimento di Ingegneria del Cern ed ex coordinatore tecnico in UA9; Alessandro Masi, Deputy Chairman of Cern Sources, Targets and Interactions Group, responsabile della costruzione degli attuatori angolari; Francesca Galluccio, ricercatrice sezione di Napoli dell’Istituto nazioanle di Fisica Nucleare, calcoli struttura magnetica in UA9; Vittorio Vaccaro, professore ordinario in quiescenza, consulente esterno per le impedenze in UA9; Alessandro Danisi, dottorando di ricerca (ora all’Ufficio Brevetti a Monaco), analisi effetto electron cloud. Del team faceva parte anche un altro scienziato partenopeo, Theo Demma, di recente tragicamente scomparso.
 
La collaborazione Cern-Federico II
Scandale è in questi giorni a Napoli anche per richiedere una collaborazione scientifica tra il progetto UA9 e la Federico II, in particolare con il gruppo da Pasquale Arpaia, docente di Misure presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie dell’Informazione e dal 2005 anch'egli Team Leader al Cern. La collaborazione si inserirebbe nel quadro degli accordi avviati l'anno scorso tra il Cern e l’ateneo federiciano di cui Arpaia è Scientific Advisor. Gli accordi prevedono una serie di contratti di ricerca per studenti, personale a contratto, ricercatori e professori destinati alla soluzione di problemi realizzativi di elevato profilo tecnico-scientifico «Siamo interessati – precisa Scandale – al coinvolgimento attivo di nuovi ricercatori fomrati da questo ateneo agli sviluppi di UA9. A tal fine stiamo pensando ad un progetto di ricerca specifico che comprenderebbe lo sviluppo di dispositivi altamente innovativi».    
 
Nuovi acceleratori per la lotta ai tumori
Una delle applicazioni più importanti di questo esperimento al di là della ricerca fisica, è quella di creare nuove opportunità di miglioramento per gli acceleratori utilizzati attualmente nella cura del cancro mediante particelle pesanti (protoni o ioni carbonio). In Italia ce ne sono due, in Europa sono sei. Gli acceleratori vengono utilizzati per tumori speciali che resistono ai trattamenti standard. La tecnologia di protezione e pulitura a base di nanocristalli potrebbe essere trasposta anche a queste macchine in modo da ridurre la complessità tecnologica e renderle più facilmente gestibili anche in ambienti ospedalieri. Il condizionale è sempre d’obbligo anche se l’esperimento UA9 ha concluso la dimostrazione di fattibilità e ha dato tutti gli elementi di miglioramento dei risultati. 
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