Lavoro, chi vince e chi perde con l'impresa 4.0

Lavoro, chi vince e chi perde con l'impresa 4.0
di Nando Santonastaso
Mercoledì 4 Ottobre 2017, 00:11 - Ultimo agg. 11:56
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Giorgio Pino, calabrese di origini ma campano d’adozione, patron del gruppo Proma, uno dei leader nel Sud (e non solo) dell’indotto automotive, è esplicito: «Nessuno può fermare l’innovazione ma è evidente che anche con Industria 4.0 si perderanno posti di lavoro. È nei fatti: con i robot che dialogano meno manodopera per la produzione di quella che c’è attualmente», dice con l’abituale franchezza.

Pino, che sarà uno dei relatori del meeting “Digital manufacturing e Industry 4.0” organizzato per stamane da Unicredit all’Ios Academy della Apple presso il campus della Federico II a San Giovanni a Teduccio, non ha alcuna intenzione di tagliare l’occupazione nelle sue aziende anche perché il mercato dell’auto continua a tirare, ma lancia un monito: «Il sindacato si dovrebbe convincere che se un’azienda non ha più bisogno di personale non deve aspettare di andare in rovina prima di poter intervenire sull’occupazione».

Pessimista o realista, Pino va sicuramente dritto al cuore del problema. Industria 4.0 e ora Impresa 4.0, scenari sempre più obbligati di un sistema produttivo che per sopravvivere ha bisogno di innovare, sono l’anticamera di un tonfo occupazionale o un’opportunità di crescita anche sul versante della manodopera? Le opinioni divergono e al Sud, che pure ha imboccato, anche attraverso il credito d’imposta per gli investimenti, la strada del recupero dopo gli anni della durissima crisi, le incognite sembrano maggiori. «Le previsioni talvolta apocalittiche sull’occupazione - dice Stefano Sacchi, presidente dell’Inapp, l’ex Isfol - in realtà non tengono conto dell’effettivo tessuto produttivo del nostro Paese».

Ovvero, che non è scontata l’equazione tra innovazione e perdita massiccia di posti di lavoro. Ancora Sacchi: «Una ricerca Inapp mostra come negli ultimi cinque anni l’effettiva disoccupazione tecnologica, ossia la perdita di posti di lavoro dovuti all’innovazione, è stimabile nell’ordine dell’1,5% dell’occupazione, molto meno di quanto ci si sarebbe potuto aspettare. E la perdita – aggiunge Sacchi – è concentrata nelle occupazioni manuali. Al di là delle punte avanzate, che per fortuna anche al Sud non mancano, siamo ancora alla terza rivoluzione industriale, non alla quarta, con il rischio di prendere tutto il peggio dell’impatto del cambiamento tecnologico senza goderne i vantaggi». In altre parole, perdita di occupazione manuale senza crearne di nuova, e perdita di posizioni nelle catene globali del valore.

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