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Alfredo Cospito, lo sciopero e la clemenza di 30 anni fa, poi il terrorista gambizzò un manager

L'estremista era finito in carcere da giovane per renitenza alla leva. La decisione presa da Cossiga

Lo sciopero e la clemenza di 30 anni fa, poi il terrorista gambizzò un manager
Lo sciopero e la clemenza di 30 anni fa, poi il terrorista gambizzò un manager
di Francesco Bechis
Articolo riservato agli abbonati
Venerdì 3 Febbraio 2023, 00:53 - Ultimo agg. : 00:57
3 Minuti di Lettura

Renitente, recidivo. Un militante anarchico finisce in carcere con una condanna definitiva. E inizia uno sciopero della fame per cambiarla. Se il film di Alfredo Cospito e del suo digiuno a oltranza per cancellare il carcere duro (per sé e per gli altri) sembra già visto, è perché si tratta, a ben vedere, di un sequel. O un dejavu. 

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I PRECEDENTI
È il 16 aprile del 1991 quando Cospito, allora giovane anarchico cresciuto negli ambienti dell’eversione pescarese, viene condannato dal Tribunale militare di Roma per il reato di diserzione aggravata. Pena salata: un anno, nove mesi e dieci giorni. Una medaglia al petto, per un «obiettore totale» - così si definiva l’agitatore in gioventù - e non la prima. Già il 10 marzo 1989 Cospito era stato condannato dal Tribunale militare a un anno di reclusione per il reato di mancanza alla chiamata.

Rifiuta il difensore, «sono un anarchico» confessa al giudice che lo interroga per la prima volta. In carcere trascorre però poche settimane, salvato da un’amnistia del 1990. Quando nell’agosto del 1991 Cospito varca di nuovo l’entrata dell’istituto penitenziario non attende un minuto e dà il via a «un digiuno a oltranza».

«Rifiutava di alimentarsi - si legge nell’ordinanza del Gup - per protesta contro la nuova condanna e per ottenere la liberazione». Lo sciopero, proprio come quello iniziato tre mesi fa, procede senza interruzioni. Finché il 27 settembre il padre di Cospito - «quando la situazione organica e psichica del detenuto era di estremo disagio» - presenta domanda di grazia al Presidente della Repubblica, allora Francesco Cossiga. Richiesta accolta dal titolare del Colle che il 27 dicembre del 1991 accorda la grazia e condona la pena all’anarchico renitente. La protesta estrema funziona.

E diventa un caso nazionale. Sì perché Cospito, uscito dal carcere, non fa marcia indietro, anzi. Deve ancora rispondere alla leva militare disertata. Ottiene una licenza di convalescenza per rimettersi in sesto, recuperare i chili e le energie perse. Alla scadenza, il 2 gennaio del 1992, non si presenta. Nuovo processo, nuova condanna. Una “spirale” di pronunciamenti contro l’anarchico che, lo stesso anno, finisce di fronte alla Corte Costituzionale. Nel 1993 i giudici della Consulta emettono una sentenza che ha fatto giurisprudenza. I disertori non possono essere condannati più di tre volte. E le pene in ogni caso non possono superare un anno di reclusione. Per tutti, da quel momento, è “la sentenza Cospito”.

Per il cursus honorum criminale dell’anarchico abruzzese è solo l’inizio. Ma anche il primo banco di prova di un metodo diffuso tra i militanti della guerra contro lo Stato - lo sciopero della fame - risultato decisivo per scampare alla detenzione nel penitenziario militare. Certo, allora su Cospito non gravava una condanna per strage né l’ombra di un ergastolo. Doveva ancora iniziare la lunga gavetta nell’estremismo terroristico culminata, vent’anni dopo, con la gambizzazione dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, costata a Cospito una condanna a dieci anni e otto mesi di reclusione.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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