Scampia, più comunità
per battere la camorra

Martedì 11 Settembre 2012, 09:43 - Ultimo agg. 12 Settembre, 09:45
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Caro Direttore,

come un copione gi visto in queste settimane si consumano fiumi di parole sulla vicenda Scampia. Mentre cittadini, associazioni, chiesa e istituzioni si confrontano sul da farsi, ahinoi, nell'area si continua a sparare.



C'è poco da pensare, a Scampia è in atto nuovamente una battaglia tra famiglie camorristiche per la conquista del territorio. Una lotta spietata per imporre, purtroppo, la triste legge del più forte. Il giudice, Raffaele Cantone, in modo autorevole su queste colonne, sottolinea quanto sia necessario che il ministro dell'Interno, il Prefetto Rosanna Cancellieri, ci "metta la faccia", venendo personalmente in loco a rendersi conto delle preoccupanti condizioni in cui si vive nella zona.



Non si può più attendere. Serve una presa di coscienza generale del governo e un'azione immediata e continua, governata a livello centrale con il coinvolgimento delle massime autorità e delle forze dell'ordine. L'intervento urge prima che si rischi di versare lacrime per la morte involontaria di qualche cittadino, che potrebbe trovarsi inavvertitamente nel mezzo di una sparatoria.



Del resto, la gran parte dei napoletani perbene che vivono il quartiere sono al limite della sopportazione. C'è bisogno di qualche intervento a breve, che dia un segnale di cambiamento alla realtà, anche se solo visivo. Che faccia comprendere alle persone oneste, che frequentano il quartiere, che lo Stato e l'amministrazione comunale è al loro fianco. Perché, ad esempio, non pianificare un piano straordinario di pulizia e sistemazione urbana del quartiere?



Nicola Campoli - NAPOLI





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Caro Campoli,

da diciannove anni a questa parte - tanti ne sono passati dall’inizio dell’emergenza - si gira attorno alla questione Scampia. Risultati pochi, se non una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica sull’argomento. Per carità, non è poco ma diventa pochissimo in presenza di una mattanza che continua a fare morti per le strade ed ha un nome del quartiere che ormai batte perfino le icone internazionali peggiori, dal Bronx alle bidonville di Città del Messico.





Il dubbio risorge, a otto anni di distanza dall’esplosione della guerra tra gli scissionisti e i Di Lauro, davanti alle incertezze delle istituzioni. E davanti allo sconforto per la “diserzione” scolastica che inevitabilmente accompagna le nuove fiammate di violenza nel quartiere delle Vele.





È mai possibile che ci sia in pieno 2012 un quartiere nella terza città d’Italia che non sia tecnicamente territorio dello Stato e che ospiti il più grande mercato dello spaccio di droga a cielo aperto in Europa? Davanti a un fatto simile è chiaro che non bastano soldati e truppe (piano a cui sta lavorando il governo) a presidiare le strade. Come non basta abbattere le Vele, dispenderne gli abitanti (che hanno tutto il diritto e in certi casi l’orgoglio di restare tali). L’unica soluzione è portare più Stato, cioè più cittadinanza e più comunità.



Che questo avvenga con l’insediamento di un nuovo Policlinico, come suggerisce il governatore Caldoro. O con quello di un nuovo ateneo o la dislocazione di alcune facoltà, è relativo. L’unica via di uscita è quello di diventare tutti cittadini di Scampia, andando a portare un piccolo contributo civile o materiale che sia. Altrimenti meglio alzare bandiera bianca.





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