«Le voci mi dicevano di uccidere. Altrimenti mi avrebbero ucciso loro». È questa la linea di difesa di Elpidio D’Ambra, reo confesso dell’assassinio di Rosa Alfieri , la ventiduenne di Grumo Nevano strangolata nell’abitazione dell'uomo nel pomeriggio del 1 febbraio dello scorso anno.
Le dichiarazioni dell’imputato sono state rese nel corso della sesta udienza del processo in corte d’assise di Napoli (presidente Concetta Cristiano, giudice a latere Paola Scandone) dov’è in corso il processo per il barbaro omicidio della povera Rosa. L’imputato ha chiesto scusa alla famiglia affermando di rendersi conto di cosa possa provare un padre a cui viene tolta la figlia, ma nel contempo ha cercato di giustificarsi imputando il suo comportamento all’uso smodato di sostanze stupefacenti.
Una linea difensiva inframmezzata da tantissimi non ricordo. Soprattutto per la ricostruzione delle fasi del delitto. L’uomo, nel corso della sua testimonianza ha anche mimato il gesto con il quale quel tragico pomeriggio afferrò alle spalle la vittima trascinandola poi nella sua abitazione, ubicata nello stesso cortile dove abitava la vittima. Incalzato dalle domande del pubblico ministero Rossana Esposito, sostituto della procura di Napoli nord, ad un certo punto ha sbottato in dialetto: “Ma questa che vuole, non mi lascia mai parlare“, espressione che ha sollevato le proteste dell’avvocato di parte civile Carmine Busiello, che ha chiesto e ottenuto, dalla presidente della Corte, un richiamo all’imputato.
Elpidio D’Ambra ha anche lanciato accuse agli investigatori affermando che la scena del crimine era stata corrotta dagli inquirenti e anche dai familiari della ragazza. Sulle fasi finali del delitto, ha detto di non ricordare nulla se non quando, una volta rientrato in sé, si è reso conto che stringeva le mani intorno al collo della vittima. La pubblica accusa anche dimostrato che quando l’uomo si trovava in Spagna, detenuto per furto e rapina, era stato condannato anche a 30 giorni di servizi sociali per maltrattamenti in famiglia. Ha respinto anche la prova evidente che in quel pomeriggio, Rosa si era difesa strenuamente nella colluttazione, graffiando il suo carnefice al torace al collo e agli avambracci. Una circostanza questa che l’imputato ha respinto affermando di non aver mai visto le foto dei graffi riprese dai carabinieri della compagnia di Giugliano dopo il suo fermo.
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