Giorgia Meloni al Parco Verde di Caivano, l'appello dei giovani: «Noi onesti, vogliamo lavoro»

«Ci deve stare a sentire, se no che ci è venuta a fare fino a qua»

L'appello dei giovani a Giorgia Meloni
L'appello dei giovani a Giorgia Meloni
di Marilicia Salvia
Venerdì 1 Settembre 2023, 11:05 - Ultimo agg. 12:57
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Inviato a Caivano

«Non ci interessa la piscina, vogliamo lavorare». «Lavoro, lavoro». Ma soprattutto: «Meloni, parla con noi. Meloni, te lo diciamo noi cosa serve qua. Che ne sanno gli altri, che ne sa il prete. Lavoro, lavoro». C'è un fiume di ragazzi, solita barba hipster e maglietta nera d'ordinanza, nel morso di aiuola che il rigoroso servizio d'ordine consente di occupare di fronte alla parrocchia di don Patriciello, oltre le transenne rosse prese in prestito dai Comuni vicini, perchè a Caivano neanche quelle ci stanno. Sono ragazzi dagli sguardi puliti, diretti: «Che cosa credete, che qua stanno solo delinquenti? No, ci sta pure la gente perbene. Il Parco Verde è Caivano, non un mondo a parte. Eppure se succede un fatto brutto solo del Parco Verde si parla. E noi, se andiamo in giro a cercare lavoro, come sentono che siamo di qua non ne vogliono sapere di prenderci». Sono agitati e si vede, fremono davanti ai poliziotti che li fronteggiano, sentono di poter avere stamattina la grande occasione di intercettare il presidente del consiglio - l'autorità più importante mai sfilata nel rione - e non vogliono perderla. «Ci deve stare a sentire, se no che ci è venuta a fare fino a qua». Ma lei, la premier giovane e pragmatica, la donna, la madre che di fronte allo scempio dello stupro di due bambine non ci ha pensato due volte a mettere in agenda questa visita, davanti alla piccola folla che la aspetta da ore passa velocissima, a bordo dell'auto blu con i vetri oscurati, e in pochi secondi scompare dentro la parrocchia di don Maurizio. Il fortino della legalità, il simbolo di una resistenza al male che non conosce requie. La delusione è tanta, c'è chi alza la voce: «Troppo facile fare così, non vedrà niente, non capirà niente», dice Monica, madre di tre figli piccoli «ai quali - sottolinea - non posso comprare neanche gli zainetti per la scuola; e allora me lo dite che ci faccio io con la riapertura della piscina, che è pure a pagamento?». «È una vergogna», urla Emanuele, vent'anni e un fisico da corazziere: «Vedrete che ci illudono anche stavolta, un po' di chiacchiere, belle promesse e domani tutto torna come prima». Il deputato dei Verdi Francesco Borrelli cerca di mediare: «Vedremo di organizzare un'assemblea pubblica, è giusto che lo Stato prenda in considerazione le vostre proposte».

In realtà sono le misure di sicurezza, rafforzate dopo le minacce giunte alla Meloni per via dell'abolizione del reddito di cittadinanza, a imporre questa distanza netta tra la premier e i residenti, che poi è ancora una volta la distanza che separa lo Stato da questo lembo di terra disgraziata. Terra di abusi e violenza, di degrado e abbandono. «Da qua non passa neanche un autobus, dobbiamo fare i chilometri per andare a prenderlo», spiega Simone, 19 anni, che si è diplomato e adesso sogna la vita militare: «Se mi prendono, io svolto. Mi piace l'ordine, mi piace l'idea di portare sicurezza». Con lui ci sono Rocco e Raffaele, loro sono di Frattamaggiore e gli sfoghi dell'amico li conoscono bene: «Se non hai l'auto o la moto sei fuori. Pure per noi, venire fin qui è un incubo. È come se si volesse tenere il Parco Verde isolato, ma così la delinquenza si favorisce, perché poi certa gente si sente padrona, fa quello che vuole. Eppure ci sono tanti bravi ragazzi». Non c'è speranza, scuote la testa Michela, una brunetta dagli occhi vivaci: «Qua fa schifo tutto, le case, le strade, tutto.

Vi meravigliate che ci stanno i fetienti?», dice e raccoglie gli applausi degli altri. 

Dietro le transenne gli animi si scaldano, mentre la mattinata corre veloce e qualche donna s'allontana - «s'è fatto tardi, vado a cucinare» - e altre ne arrivano con le buste della spesa. «La Meloni sta ancora in parrocchia? Ditele che non perdesse tempo, qua con i prezzi non si capisce più niente, non lavoriamo, non teniamo più il Reddito, come andiamo avanti?» si lamenta Titina. Ha 60 anni, racconta, e sta nel Parco Verde da quando, giovanissima, fu trapiantata qua con la famiglia dopo il terremoto dell'80. Doveva essere una soluzione provvisoria: «Invece a Napoli non siamo più tornati. Ma non si può immaginare il disastro, topi, scarafaggi, infiltrazioni d'acqua. Per aggiustare abbiamo fatto i debiti». Il contesto, invece, non si è aggiustato mai. Gli spazi comuni, grandi aiuole ritagliate intorno all'ombra dei pini sopravvissuti al cemento, se li sono presi i boss per metterci quello che gli pareva, che fossero rifiuti o piscine abusive; i posti auto non si possono utilizzare, servono ai pusher che parcheggiano lì in attesa dei clienti. I marciapiedi e ampie porzioni delle strade che circondano i palazzi sono occupati dai rifiuti seminascosti tra sterpaglie alte un metro: uno spettacolo desolante risparmiato alla vista della presidente Meloni, che ha percorso in auto solo le strade opportunamente pulite il giorno prima. «E adesso vediamo quando sarà la prossima volta che vediamo gli spazzini», ironizza Luisa, viso dolce e sulle spalle una morbida coda di cavallo: giovanissima, racconta che dopo il diploma probabilmente si trasferirà a Firenze, «ma pure se dovessi rimanere qui sarei contenta, vorrei solo che ci fosse un po' di pulizia, qualcosa da fare quando si esce il pomeriggio, un parco giochi per i bimbi, se un giorno sarà madre». Ma è il lavoro, il lavoro che non c'è, e se c'è è sottopagato - «per 10 ore al giorno in un bar ti danno 600 euro al mese, dico no grazie pure se sto disperato», dice Roberto, 28 anni - è il traguardo del lavoro onesto la preoccupazione più grande dei ragazzi che la straordinaria visita istituzionale ha riunito stamattina davanti alla parrocchia. «Quelli là dentro staranno parlando dei pedofili, degli stupri, ma queste sono cose che purtroppo possono capitare dappertutto. Parlano della piscina Delphinia, che improvvisamente è diventata famosa in tutt'Italia, ma è chiusa da anni, è un lusso che non ci possiamo permettere», protesta Gennaro. Ha 22 anni, lavora in fabbrica e potrebbe considerarsi, per questo, fortunato: «Lo so, sono un'eccezione. Ma prendo 1.500 euro al mese, 500 se ne vanno di benzina, avete visto quanto costa adesso? Vivo con i miei, se volessi farmi una famiglia non me lo potrei permettere. È ingiusto, ed è anche pericoloso. Perché diciamo la verità, se uno dice di sì alla camorra fa i milioni». 

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Sfiduciati, disincantati, ma pronti ad inseguire la speranza, in qualsiasi forma si presenti. «Un presidente del consiglio qui non lo abbiamo visto mai, quindi diamole fiducia», dice Nicola, 62 anni, il volto rugoso bruciato dal sole. È qui dal mattino presto, è tra quelli che applaude con convinzione il passaggio dell'auto diretta in parrocchia. «Giorgia, Giorgia», grida il gruppetto, distante una decina di metri dagli scettici che di applaudire non ne vogliono sapere. Tra i fan senza se e senza ma c'è una coppia di Afragola, «ho chiuso il negozio solo due volte in vita mia, per il matrimonio di mio fratello e stamattina», dice lui, convinto che Giorgia sia «la soluzione ai problemi dell'Italia, purché la lascino lavorare». Celestina invece è una grande sostenitrice dell'opera di don Patriciello: modenese, ha preso qualche giorno di ferie dall'ospedale in cui lavora come Oss ed ha preso un treno «per venire alla marcia dell'altra sera e all'iniziativa di oggi». Ma se c'è un argomento che sembra mettere d'accordo tutti, è l'abolizione del Reddito di cittadinanza: un po' a sorpresa non c'è nessuno che se ne lamenti. «Vogliamo il lavoro e prezzi più equi», è il mantra. Visto da questo marciapiede, il tema che ha portato fin qui la Meloni, il degrado morale, la violenza, l'infanzia violata sembra lontano, residuale. «Le mamme s'anna guardà le figlie: qua l'ambiente è così, le amicizie si devono fare all'esterno», è la sentenza di una nonna, pure lei in prima fila insieme a due nipotine della stessa età delle cuginette stuprate. L'altra certezza granitica è che ogni nefandezza riguardi non il Parco Verde ma il contiguo e odiatissimo complesso delle palazzine Iacp: «Smettete di accomunarci a loro». Il medico Giuseppe Papaccioli, ex sindaco, barba più corta di quando era conosciuto come il Bin Laden che soccorse Berlusconi ma carisma immutato (in tanti gli si avvicinano invitandolo a ricandidarsi) scuote la testa: «È una vicenda tristissima che non va ignorata o sottovalutata. È il segno che tutte le agenzie educative, la famiglia, ma anche la scuola e la politica, hanno fallito. Qui va ricostruito il tessuto sociale. Al Parco Verde va data un'identità, dando alla gente occasioni di partecipazione alla vita pubblica. Troppe divisioni, troppi piccoli centri di potere stanno facendo il male di quest'area, e di tutta Caivano. Bisogna remare, tutti, nella stessa direzione: oggi, forse, affondiamo il primo colpo». 

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