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Sant'Antimo, lo sfogo di Gaetano dopo la sentenza: «Senza gambe e senza giustizia, se non sono stati loro chi è stato?»

Arti amputati dopo la sparatoria, assolti i tre imputati: «Ho perso la mia ragazza e i miei amici»

Gaetano Ferraiuolo
Gaetano Ferraiuolo
di Marco Di Caterino
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 25 Marzo 2023, 00:00 - Ultimo agg. : 26 Marzo, 09:09
4 Minuti di Lettura

«Mi sento scaraventato in un abisso di disperazione. Una caduta che toglie il fiato. E tutt’intorno non trovo appigli». Gaetano Barbuto Ferraiuolo, il bravo ragazzo di Sant’Antimo che più di due anni fa, fu dapprima pestato a sangue da tre persone e poi ferito orribilmente alle gambe con sei colpi di pistola che maciullarono ossa e muscoli, tanto da essere sottoposto all’amputazione di entrambi gli arti seguita a un lunghissimo ricovero in ospedale, definirlo depresso dopo la clamorosa assoluzione «per non aver commesso il fatto» dei tre imputati, è davvero un eufemismo. La sua condizione, il giorno dopo la sentenza, è quella di un pugile suonato, frastornato, disorientato, sfiduciato, dolorosamente deluso. Ed è uno sforzo sovrumano sopportare questo macigno, soprattutto per chi ha subito le gravissime mutilazioni perdendo entrambe le gambe. 

APPROFONDIMENTI
Sant'Antimo, niente colpevoli per l'agguato a Gaetano Barbuto Ferraiuolo
Ma la Procura farà ricorso
«Ho perso le gambe e i miei amici ma ritornerò a correre»

Aveva raccontato durante la lunga ed estenuante attesa della sentenza: «Sono sempre fiducioso nell’operato della magistratura, anche se per uno come me, che si è appena affacciato alla vita reale, resta sempre complicato capire cosa sia la legge e cosa sia la giustizia. Mi aspetto che per me, venga applicata quest’ultima». Forse questa volta non è stato così, tant’è che la Procura di Napoli Nord, sempre molto parca nel comunicare notizie, in un nota stampa data all’Ansa, ha già preannunciato l’immediato ricorso in Corte d’appello. Un pannicello caldo, oltre che un atto dovuto, anche sotto il profilo morale. 

Se non sono stati quei tre «per non aver commesso il fatto», Gaetano pone un interrogativo dalla semplicità disarmante. Dice, con tono sorprendentemente calmo, senza astio: «E se non sono stati loro, allora chi è stato? Già sono senza gambe, possibile che sarò anche senza giustizia?». Come dargli torto. Passate le lacrime di delusione per come è andata a finire in aula, il giorno dopo, Gaetano è voluto rimanere a letto. Svuotato. Nemmeno l’energica zia Rosaria, un pilastro morale oltre che di ventata di praticità, è riuscita a smuoverlo dal letto. Poi chissà cosa è accaduto. Gaetano ha fatto armi e bagagli e si è allontanato, insieme alla mamma Francesca Marotta, da Sant’Antimo, verso una destinazione sconosciuta, per timore di una qualche ritorsione violenta ed anonima. 

Un timore esternato più volte dallo stesso ragazzo, città difficile che conta tre potenti e sanguinari clan che da mezzo secolo la fanno da padrone. Chissà, sarà per questo, che, come confida Gaetano: «Dopo quello che ho subito, chi credevo un vero amico si è allontanato, e nemmeno ho ricevuto un briciolo di solidarietà da nemmeno una, dico una persona di Sant’Antimo. Come è accaduto ieri mattina, quando Emilio Francesco Borrelli, con una decina di persone, tra le quali un ragazzo che ha subito le stesse amputazioni di Gaetano, e nessuna del posto ha stazionato sotto l’abitazione di Gaetano per testimoniare affetto e vicinanza in questo difficile momento della sua vita, esortandolo a continuare insieme a loro la battaglia per la giustizia». 

Due anni e più di lacerante solitudine per Gaetano, che si è visto vicino solo la sua famiglia. «Devo recuperare tutto questo tempo, e progettare il mio futuro a partire dalla terapia fisiatrica per avere una maggiore stabilità con le protesi – dice Gaetano – e devo cercare di avere al più presto autonomia economica». Sorride Gaetano, gli occhi che brillano, perché racconta con puro orgoglio di aver presentato la domanda per la partecipazione ad un concorso pubblico. «Guarda – dice – da più di due anni, mia madre è sottoposta a stress inimmaginabili. Non esce più di casa, non ha più una vita, e a volte mi sorride per non piangere. Posso sopportare queste mutilazioni, ma non quello che ora mia mamma è costretta a vivere. Per questo mi sto impegnando anche nel corso per avere la patente – sorride ancora – senza le gambe». 

«Gli amici - riprende con ironia – sono svaniti nel nulla. Ed è stato più doloroso che perdere le gambe. Ho sofferto per aver dovuto spezzare il legame con la mia ex ragazza. Per amore. Un conto è quanto sei sano e integro, un altro è costringere una ragazzina a condividere il mio dramma. Non lo meritava e soprattutto non lo volevo». Qualcuno della sua famiglia ha pure chiesto di essere un pochino più cattivo, per “ ricambiare” sgarbi e indifferenza. «Ho provato ad essere cattivo, ma non ci riesco. Sono fatto così, sono stato educato così. Non voglio essere un invalido pieno di rabbia e livore, che ti uccidono dentro. Credo sempre, anche dopo la sentenza, che il giorno dopo o il domani sia davvero migliore». Non lo sappiamo, ma abbiamo la certezza che questo ragazzo, sia davvero un domani migliore. A dispetto di tutto e tutti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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