Quante volte ne è stato annunciato il restauro, e una nuova destinazione d'uso. Da almeno tre decenni Palazzo Penne resta, invece, un monumento antico e perduto, nell'odissea dell'abbandono. Circondato dal degrado, già set di Pier Paolo Pasolini, è abitato da una sola irriducibile inquilina, nata lì nel 1942 e pronta a bloccare i ripetuti assalti di vandali e abusivi. Il tutto, in attesa del restyling, che adesso sembra definitivamente deciso. Il progetto è pronto: il complesso, unico esempio di edilizia civile del periodo angioino-durazzesco e straordinaria testimonianza del Risorgimento a Napoli, diventa la Casa dell'architettura e del design. E i rendering, con le schede tecniche che spiegano nel dettaglio gli interventi programmati, vengono mostrati al «Mattino». Per la prima volta.
Il giardino, uno dei pochi spazi verdi nel centro storico, è restituito al quartiere: reso accessibile da una passerella in acciaio. Al centro è collocato un piccolo bar. «Ma il progetto di recupero investe l'intera strada», è precisato nel dossier. Varcato l'ingresso quattrocentesco, poi si passa sotto la volta catalana. E, da lì, si entra nel primo cortile ed è sistemata una rampa che conduce a un book-shop collegato con gli ambienti destinati all'allestimento di piccole mostre permanenti.
La costruzione è attribuita ad Antonio Baboccio da Piperno e risale al 1380. Ma l'iscrizione sul portale di ingresso indica l'anno di fine dei lavori, il 1406. Il Palazzo prende il nome dal suo primo proprietario, Antonio da Penne, segretario e consigliere particolare di re Ladislao d'Angiò Durazzo. Solo nel 1685, il complesso viene acquisito dai padri Somaschi e adeguato alle esigenze dell'ordine religioso: lavori radicali portano anche all'edificazione del noviziato. E così si arriva al 1709, quando Giovan Battista Nauclerio ha l'incarico di demolire le strutture all'angolo nord-orientale per fare spazio alla nuova chiesa dei Santi Demetrio e Bonifacio. Nel 1806, subentra l'abate e vulcanologo Teodoro Monticelli, che si trasferisce nel palazzo fino alla morte, avvenuta 1845. Il resto è storia recente. Segnata dagli appelli contro l'incuria promossi da Alda Croce e Marta Herling e da Pino de Stasio, firmati tra gli altri dall'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dall'ex sovrintendente Mario de Cunzo, dal maestro Roberto de Simone. Dal 2002 il Palazzo è di proprietà della Regione, che ha stanziato tre milioni a integrazione dei dieci previsti dal Contratto istituzionale di sviluppo sottoscritto con ministero della Cultura e Comune di Napoli. Proprio in questi giorni il progetto ha avuto il via libera nella commissione consiliare in vista dell'approvazione da parte dell'assemblea di via Verdi. «L'obiettivo è riuscire a chiudere le procedure per l'affidamento dell'appalto entro la fine anno in modo che possano iniziare i lavori nel 2022», spiega Bruno Discepolo, l'assessore all'urbanistica a Palazzo Santa Lucia. Ma il progetto, condiviso dai tre enti, è al centro delle polemiche nel quartiere.
«Altro che democrazia partecipata», accusa Pino De Stasio, consigliere del parlamentino civico, da sempre in prima linea per la tutela del patrimonio Unesco e promotore di un ordine del giorno su Palazzo Penne approvato all'unanimità. «Da destra e da sinistra», sottolinea. Perché «l'organo politico più prossimo ai cittadini e al territorio è stato completamente escluso da ogni processo decisionale», scrive il presidente della II Municipalità, Francesco Chirico, chiedendo informazioni e coinvolgimento nelle scelte. Un documento, firmato da Italia Nostra, rete Set, comitato Portosalvo, Santa Fede Liberata e comitato Centro storico, fa notare anche la situazione particolare di Jolanda Somma: l'ultima abitante dello stabile, a 79 anni non può certo andare lontano o in mezzo a una strada. «Sono custode e prigioniera di Palazzo Penne. Oggi vorrei andarmene da così tanto degrado, ma i fitti sono alti: con la pensione sociale, non posso permettermelo. Spero che la Regione mi riconosca un alloggio, anche per riconoscenza dopo tante battaglie e promesse disattese». Discepolo assicura: «Naturalmente, va trovata una soluzione per la signora. E c'è disponibilità al dialogo e a chiarire che la casa dell'architettura deve essere anche luogo di ascolto e incontro con i cittadini e il territorio».