Centomani (centro giustizia minorile): «Baby-boss via dalle famiglie solo così li possiamo salvare»

Centomani (centro giustizia minorile): «Baby-boss via dalle famiglie solo così li possiamo salvare»
di Maria Pirro
Domenica 14 Febbraio 2016, 15:43 - Ultimo agg. 16:11
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Sottrarre i figli, sin da piccoli, ai camorristi, spezzando quei legami familiari che segnano il destino di generazioni, ma anche promuovere progetti di formazione sul territorio. Con il «modello Reggio», già sperimentato in una trentina di casi, e con più scuola si potrebbe rafforzare la lotta ai babyboss. «Questi interventi potrebbero risultare utili», dice Giuseppe Centomani, che dirige il centro giustizia minorile in Campania.

La nuova strategia consiste nel far perdere il contatto, almeno temporaneo, tra questi ragazzini e i loro genitori: con quali benefici?
«Per il ragazzo potrebbe essere l'occasione di scoprire un modo nuovo per guardare al mondo e agli altri. Significa ideare un progetto personale originale che non assomigli a quello del padre piuttosto che a quello di un fratello maggiore».
A che età allontanarli dai genitori?
«Il prima possibile, ovvero all'età in cui ci si accorge della realtà esterna, a 10 anni, il massimo ritengo sia fino alla soglia della imputabilità».
Intanto, i babyboss sono in ascesa, nonostante gli arresti.
«C'è grande ricambio, poiché gli emergenti non sono alla guida di veri e propri clan. Basta che il bullo faccia il salto di livello, e si ripresenta il fenomeno che dipende anche dal vuoto di potere e gestione degli affari illeciti, visto che molti dei grandi capi oggi sono in galera, per fortuna».
Qual è la logica di questi giovanissimi delinquenti?
«L'immediato possesso di uno spazio fisico in grado di produrre subito guadagno e ricchezza. Il modello di questi ragazzi non è la grande organizzazione criminale, ma è il consumismo: il valore fondamentale è poter avere grandi risorse economiche in tempo reale per per acquisire status symbol e beni attraverso i quali rappresentare la propria supremazia sul gruppo, anche solo della strada accanto».
Più che un codice, predomina oggi un look di appartenenza nei gruppi criminali.
«Alla regole si è sostituita l'immagine. Collane o pistole d'oro, motorini e griffe: aattraverso l'immagine di sé, anche su Facebook, viene veicolato il messaggio».
Come si fa a proporre modelli positivi alternativi?
«Come Centro giustizia minorile, quindi come ufficio che coordina e promuove le attività in tutti i servizi, riteniamo che vada fatta proposta molto concreta e rigorosa sul versante della formazione professionale in particolare».
Per quanti ragazzi?
«Duemila sono seguiti dai nostri servizi. Ma, oggi, ne abbiamo tanti in doppia diagnosi, con problemi di tossicodipendenza e, spesso correlati, con problemi di tipo psicologico. Ragazzi che alla fine hanno il cervello bollito, spesso perché già prima dell'adolescenza hanno iniziato a far uso di cocaina. Dipendenti dal consumo di sostanze, sono disposti a tutto per procurarsele e quindi diventano facile preda dei clan e della criminalità che ha bisogno di manodopera a basso costo».
Oggi quanto vale una vita?
«Per 700-800 euro, si sa che i ragazzi sono stati armati dai camorristi per ammazzare».
In concreto, come aiutare questi ragazzi?
«Dobbiamo fare in modo che scoprano proprie risorse personali. Bisogna puntare subito sulla scuola e sulla formazione. I nostri progetti dimostrano una capacità di riuscire superiore al 50 per cento, e quindi enorme: alla Pizzeria dell'impossibile 4 o 5 degli 8 partecipanti sono stati inseriti, ce n'è uno in Messico che guadagna addirittura 3500 dollari al mese. Da un paio d'anni stiamo facendo attività di pesca turismo perché qui il mare offre mille mestieri, siamo riusciti a far introdurre, tra i riconoscimenti regionali, anche una qualifica specifica che si ottiene dopo 600 ore di corso. Il carcere deve essere l'ultima ratio».
La galera è uno choc.
«Oggi è necessaria per quasi cento ragazzi. Ma per un minorenne, la detenzione è un'esperienza molto distruttiva: un mese in cella genera un livello di sofferenza che equivale a un anno di detenzione per un 50enne».
Abbassare l'età dell'imputabilità, come sollecitato dal ministro dell'Interno Angelino Alfano, può essere utile?
«Il provvedimento andrebbe a incidere su un numero ristretto di minori, avrebbe più che altro un significato simbolico. La vera soluzione ritengo sia l'investimento nei progetti sul territorio per offrire reali alternative a questi ragazzi».