25 aprile: quando i fascisti spiavano Eduardo, Peppino e Totò

25 aprile: quando i fascisti spiavano Eduardo, Peppino e Totò
di Pietro Gargano
Giovedì 22 Aprile 2021, 08:00 - Ultimo agg. 19:55
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Alle porte del 25 aprile, e della celebrazione della Liberazione dalla tirannia nazifascista, è giusto ricordare personaggi celebri nella propria arte ma poco noti nel ruolo di antifascisti. Ad esempio i fratelli Eduardo e Peppino De Filippo, giganti del teatro. Almeno due rapporti dell'Ovra e uno della polizia segreta della Repubblica di Salò li denunciano.

Il primo è del 1936, quando avevano già avuto problemi con la censura di regime. Negli anni Trenta le commedie dei De Filippo (è del 1931 il successo di «Natale in casa Cupiello») ebbero l'autorizzazione in ritardo, nonostante solleciti. Lo scontro più duro avvenne nel 1932, quando il prefetto Leopoldo Zurlo, direttore generale della censura, cambiò il titolo dell'atto unico «Le bische» in «Quei figuri di trent'anni fa». Il regime aveva abolito le case da gioco clandestine e l'azione della commedia perciò fu anticipata a inizio secolo.

Il rapporto del 1936 spiegava invece, che: «La benevolenza dei maggiori esponenti dell'Ispettorato del Teatro, la simpatia della stampa, i successi finanziari non vietano ai De Filippo di parlare del fascismo con acredine e con scherno e di concorrere attivamente alla propalazione di scemenze. Alcune barzellette: Fede, speranza e carità: la fede l'abbiamo data (l'offerta d'oro alla patria - Nda), la speranza l'abbiamo perduta, la carità la chiederemo tutti!. Un grande furgone giunge dalla Zecca alla Banca d'Italia. È zeppo di biglietti da mille, nuovissimi. Un vecchietto, osservando, dice: Questa è la prova che in Italia c'è la libertà di stampa».

Eduardo, inoltre, era accusato di avere malignato così: «L'oro alla Patria è tutta roba falsa! Chi è così coglione da regalare dell'oro buono!». 

Il secondo rapporto è del 1941: «Ci risulta in modo certo che i fratelli De Filippo, noti comici, sono nettamente antifascisti e in questo momento stanno facendo propaganda disfattista. Essi augurano apertamente una vittoria anglo-americana, perché così ci sarà respiro per tutti, per usare le loro stesse parole. Diffondono anche la voce che nelle alte sfere di Governo Mussolini è completamente isolato e che tutti fanno il loro dovere di mala voglia o meglio fanno il minimo necessario per non incorrere nel confino».

L'informatore della Repubblica Sociale scrisse invece, il giorno di Natale 1943: «La notte del 25 luglio i due De Filippo fecero pazzie da manicomio. Assoldarono i primi facinorosi che trovarono e con essi percorsero le strade di Roma strepitando e rovinando tutto quello che poteva ricordare il fascismo. Invitarono poi a casa loro a gozzovigliare i più delinquenti di questi operai inneggiando alla morte di Mussolini e alla vittoria della Russia».

Durante il Ventennio, Eduardo aveva avuto intensi rapporti con antifascisti come Massimo Bontempelli. In una nota autobiografica scrisse: «Avevo dovuto nascondere le verità sociali sotto il grottesco e l'assurdo per non essere censurato».

Il 26 settembre 1981 arrivò la nomina di Eduardo a senatore a vita, la volle il presidente Sandro Pertini, un amico. De Filippo gli disse: «Guaglio' io sono e sarò al Senato ciò che sono stato nella vita e nelle commedie. Tu sapevi che io sono per il popolo, io sono figlio del popolo».

Il figlio di Peppino, Luigi, ha ricordato che nel 1944 a Roma il padre fu ricercato dai tedeschi. Sparì per tre settimane senza dire niente in famiglia; trovò rifugio presso amici. Nello stesso tempo in casa sua era nascosto un amico ebreo. I fratelli erano accusati dal regime anche di aver criticato le leggi razziali. Peppino chiamò in causa pure Totò: «I fascisti gli tirarono addirittura una bomba, al Teatro romano Valle, quando recitava con Anna Magnani!». 

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Il resto del racconto: «In un tardo pomeriggio della primavera del 1944, i miei fratelli e io stavamo per andare in scena, quando vedemmo arrivare Totò in teatro, all'Eliseo di Roma. Mi prese per la giacchetta e mi trascinò in camerino. Aveva l'aria preoccupata, scuro in volto. Una volta soli, mi disse che aveva sospeso le prove e che stava andando a nascondersi da un amico, De Sanctis, alla periferia Nord della capitale. Tentennando con la testa, si grattò il mento e mi sussurrò che aveva ricevuto una soffiata da un confidente che lavorava alla Questura centrale. I fascisti avevano preparato una lista di persone destinate alla deportazione in Germania. Sullo stesso treno, con Totò, saremmo dovuti finire anche noi De Filippo. All'inizio pensai che si trattasse di uno scherzo - seguitò Peppino - ma lui insisteva. Ci hanno messo pure a me... Ci pensi? Un principe deportato come un malvivente?. Io ed Eduardo, cauti, sospendemmo le recite e ci rifugiammo da una cara amica. Durante quell'isolamento ricevemmo una visita inaspettata. Alla porta c'era una ammiratrice in cerca di un mio autografo e con un biglietto di Totò, il quale, venuto a sapere del mio rifugio, mi chiedeva di concedere una dedica alla ragazza. Andai su tutte le furie. Ma come, l'amico Totò spiattella alla prima che capita il mio nascondiglio?».

I due si incontrarono di nuovo dopo mesi, a Roma. Peppino chiese: «Anto', ma il fatto dei tedeschi fu uno scherzo?». Rispose: «Ma tu sei scemo? Ti ho salvato la pelle». E la ragazza dell'autografo?. Accennò una timida smorfia poi, fissandomi negli occhi rispose: Quello sì che era uno scherzo. Mi diede una pacca sulla spalla e ci abbracciammo». 

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