Arrestato il garante dei detenuti di Napoli, telefoni e droga in cella: 28 immagini lo inchiodano

Arrestato il garante dei detenuti di Napoli, telefoni e droga in cella: 28 immagini lo inchiodano
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 19 Ottobre 2022, 23:03 - Ultimo agg. 21 Ottobre, 14:56
4 Minuti di Lettura

Ha scelto il silenzio, in attesa di capire meglio la consistenza delle accuse. Assistito dall’avvocato Raffaele Minieri, l’ex garante dei detenuti a Napoli, Pietro Ioia, si avvale della facoltà di non rispondere. Pochi minuti, dinanzi al gip Valentina Giovanniello e ai due pm Giuliana Giuliano e Ivana Fusco, che coordinano l’inchiesta sul traffico di telefonini e droga introdotti illecitamente nel carcere di Poggioreale. Ioia, ex narcotrafficante in passato detenuto per 22 anni, per il suo ruolo di garante entrava liberamente a Poggioreale, a parlare con i carcerati. Secondo l’accusa, d’accordo con tre detenuti, i loro familiari, Massimiliano Murolo, rapinatore seriale fino a due giorni fa ai domiciliari e ora in carcere, e la moglie Sonia Guillari, forniva telefonini e hashish a Poggioreale, poi rivenduti a decine di detenuti dai gestori del traffico dietro le sbarre.

Nell’inchiesta appaiono risolutivi i video che hanno ripreso lo scambio furtivo in sala colloqui, tra Ioia e i detenuti. L’ordinanza cautelare riproduce 28 fotogrammi. Ce ne sono di significativi su come si aggirassero le perquisizioni degli agenti penitenziari e avvenisse il passaggio di mano della merce da rivendere ai detenuti, che poi facevano accreditare dai loro familiari il prezzo richiesto su tessere post pay intestate alla moglie di uno dei detenuti-rivenditori. L’undici dicembre scorso, Pietro Ioia incontra nella sala colloqui il detenuto Nicola Donzelli. Il fotogramma lo inquadra mentre porta la mano sulla tasca del giubbino, per indicare «li tengo qua, vedi» riferendosi ai due telefonini portati in carcere. Non può consegnarli perché è in corso una perquisizione e si rischiano «quattro anni di carcere per ogni telefonino» spiega Ioia. Il 16 dicembre successivo, Ioia ci riprova e riesce a consegnare i telefonini al detenuto Antonio De Maria.

L’immagine riprodotta evidenzia una «sporgenza rettangolare all’interno del pantalone della tuta di De Maria all’altezza del pube». È lì che è stato nascosto il telefonino, ricevuto poco prima da Ioia. In più immagini in successione, viene documentato come De Maria cerca di sistemare al meglio i cellulari nascosti nei pantaloni.

Il 23 dicembre, tocca al detenuto Vincenzo Castello. Riceve con rapidità i telefonini e li nasconde nello slip, di spalle a Ioia che con il corpo nasconde l’operazione. Una volta seduti, si sente nell’intercettazione il garante chiedere: «ma dove te lo sei messo in tasca?». E Castello gli risponde: «Nelle mutande», con il commento di Ioia: «Bravo, mettiti sempre le mutande strette». È lo stesso Castello che, in un’altra conversazione, spiega come riesca a farla franca nelle perquisizioni con spostamenti e maneggi dei telefonini negli slip: «Me lo mangio, senza che mi fa paura...lo tengo avanti, quello quando fa la perquisizione ti fa togliere prima la maglietta, cose, io poi me la giro».

Video

Il gip ha interrogato anche Maria Cardamone Maresca, moglie del detenuto Nicola Donzelli e Sharon Tasseri, compagna del detenuto De Maria, entrambe ai domiciliari. Secondo l’accusa erano loro a gestire all’esterno il denaro guadagnato dai loro uomini nel carcere per la vendita di telefonini e droga. Sulla postpay della Maresca, i familiari di una quindicina di detenuti individuati e altri ancora ignoti caricavano il prezzo degli acquisti in cella. Movimenti ricostruiti dai carabinieri. C’è chi paga 800 euro, chi 1500 per un telefonino. Poi ricariche anche inferiori: 200, 50, 100, 58, 25, 80, 300 euro. Variabili legate alla quantità di hashish o cocaina acquistata. I più costosi sono i telefonini. Alla fine, le ricariche sulla postpay della Maresca sono arrivate a 56mila euro in 15 mesi. Un traffico redditizio. Ed è solo quello verificabile sulle postpay. A questo, si aggiungevano il denaro ricevuto in contanti difficilmente ricostruibile, come riconoscono gli inquirenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA