Clan Moccia, la stretta di Nordio: ​il boss Angelo torna al carcere duro

Dopo la scarcerazione venne segnalato per una visita al Papa in Vaticano

Il boss Angelo Moccia
Il boss Angelo Moccia
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 21 Dicembre 2022, 00:03 - Ultimo agg. 16:50
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Quando nel 2016 venne pubblicata la sua autobiografia (Una Mala Vita) probabilmente non immaginava di ritornare nelle maglie più strette del regime carcerario italiano. Probabilmente non immaginava che il suo nome avrebbe fatto di nuovo notizia per fatti giudiziari. Una traiettoria, quella di Angelo Moccia, scarcerato qualche anno fa dopo una lunga detenzione, che ha conosciuto uno snodo tutt’altro che piacevole in queste ore: è stato il ministro della Giustizia Carlo Nordio a firmare per lui e per il fratello Luigi, il trasferimento al carcere duro, su richiesta dei pm del pool anticamorra di Napoli.

Una svolta che sa di eterno ritorno, se si pensa che Angelo Moccia era stato protagonista - ormai all’inizio degli anni Novanta - di una clamorosa (e controversa) dissociazione dal crimine organizzato: con una confessione di delitti di sangue consumati quando militava in forza al cartello della Nuova famiglia (in funzione anti Cutolo).

Un percorso che gli aveva consentito di lasciare il regime di 41 bis (quello riservato ai boss di mafia) per una detenzione ordinaria, fino alla scarcerazione del 2016. Ieri, la notizia destinata a rimescolare non poco le carte. Finito in cella lo scorso anno, nel corso dell’inchiesta Morfeo condotta dal pm della Dda di Napoli Ida Teresi (sotto il coordinamento della procuratrice Rosa Volpe), nei suoi confronti sono state adottate soluzioni draconiane proprio per spezzare - si legge oggi - ogni rapporto tra il detenuto e il suo presunto retroterra di appartenenza. 

Un ritorno all’inferno, in attesa che sul suo conto si concluda il processo che lo vede imputato assieme agli altri due fratelli, vale a dire a Luigi (anche per lui da ieri carcere duro), e al più giovane Antonio (protagonista negli anni Ottanta, non ancora 14enne, del delitto a Castelcapuano dell’uomo indicato come assassino del padre). E conviene soffermarsi proprio su quest’ultimo processo a carico dei tre fratelli, per mettere in risalto il braccio di ferro che si consuma nelle aule di giustizia da anni, tra pm napoletani e avvocati di parte. Ieri mattina, nel gelo dell’aula bunker del carcere di Poggioreale, sono stati i legali dei fratelli Moccia (tra cui i penalisti Gennaro Lepre, Annalisa e Saverio Senese) a ottenere il trasferimento del processo da Napoli nord a Napoli, per competenza territoriale.

Una svolta che riporta le carte al punto di partenza, in una corsa contro il tempo (per evitare casi di decorrenza dei termini di custodia cautelare) che da sempre caratterizza i maxiprocessi a carico della presunta dynasty familiare. Un ritorno delle carte a Napoli, che va letto anche alla luce di un altro aspetto fisiologico nel Palazzo di giustizia: sono tanti i giudici che si sono espressi in questi anni rispetto alle richieste di autorizzazione delle intercettazioni, quanto basta a rendere possibile l’astensione da parte delle toghe di piazza Cenni.

Ma torniamo alla storia del 41 bis. Inchiesta Morfeo, i Moccia devono difendersi dall’accusa di aver governato un sistema camorrista radicato a Napoli e a Roma, grazie a una fitta trama di ramificazioni societarie in diversi ambiti imprenditoriali. In questi anni, sono stati i pm napoletani Gianfranco Scarfò e Ida Teresi a far emergere presunte infiltrazioni nel mondo dei carburanti, ma anche nei settori della ristorazione e della ricezione alberghiera. A Napoli come a Roma, secondo le indagini. Una versione duramente contrastata in aula da parte dei rispettivi difensori degli imputati, che hanno avversato le dichiarazioni del pentito Salvatore Scafuto, oltre a replicare alle accuse di presunte infiltrazioni nel campo della imprenditoria apparentemente pulita. Versioni a confronto, mentre in queste ore è scattata l’applicazione del carcere duro per due dei tre fratelli, in uno scenario che evidenzia la volontà della Procura di Napoli di serrare le fila attorno ai presunti vertici.

Una inchiesta che fa leva anche sulla lettura del gip che firmò l’ordinanza cautelare nella quale si partiva da un assunto di fondo: il carattere strumentale della decisione di Angelo Moccia di dare luogo alla strategia della dissociazione dalla giustizia e di prendere le distanze da presunti malaffari consumati all’ombra del suo nome. Scenari che investono un personaggio da sempre discusso, che - appena dopo la scarcerazione - fu segnalato dal Ros dei carabinieri per la sua visita al papa in Vaticano. Una svolta rispetto alla Mala Vita, che oggi fa i conti con ritorno a una storia che non riesce a finire in archivio. 
 

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