Griffe, così il boss Di Lauro investiva attraverso Tony Colombo e la moglie

Tra i 27 arresti anche un autista dei pm della Dda

Il precedente arresto di Vincenzo Di Lauro, avvenuto nel 2007
Il precedente arresto di Vincenzo Di Lauro, avvenuto nel 2007
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 17 Ottobre 2023, 23:57 - Ultimo agg. 19 Ottobre, 07:31
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Dal narcotraffico alle griffes di moda, dagli omicidi al tabacco e agli investimenti immobiliari. Lasciati alle spalle il sangue delle faide e le tonnellate di cocaina importate dal Sud America, il clan Di Lauro aveva deciso di cambiare pelle, trasformandosi in una grande società per azioni che guardava alla trasformazione della cosca in chiave imprenditoriale e finanziaria.

Una metamorfosi geniale, che tuttavia seguiva i canali dell’illegalità. Il quadro di questo nuovo impero economico gestito dalla camorra dell’area nord di Napoli è emerso in tutta la sua pervasività grazie a un’inchiesta del Ros dei carabinieri, coordinati dalla Dda: ieri mattina sono scattati gli arresti per 27 persone, e tra loro spiccano i nomi di Vincenzo Di Lauro, del cantante neomelodico Tony Colombo e di sua moglie Tina Rispoli. In manette è finito anche un autista in servizio presso la Procura antimafia napoletana, Gennaro Rizzo: avrebbe fornito al clan informazioni riservate o coperte dal segreto istruttorio, facendo poi anche da prestanome per gli affari sporchi e addirittura rendendosi disponibile per mettere a segno una rapina. Ma procediamo con ordine. 

Le indagini si sono concentrate nell’arco di tempo che va tra il 2017 e il 2021, mettendo in luce la trasformazione del clan in una vera e propria “Spa a delinquere”. Investimenti in attività ritenute meno rischiose rispetto a quelle criminali tradizionali, attraverso società intestate a una fitta rete di prestanome. Il riciclaggio dell’immenso tesoro dei Di Lauro riuscito a sfuggire ai sequestri era stato riconvertito sostanzialmente in tre filoni finanziari: la produzione illegale di sigarette confezionate con tabacco estero proveniente dalla Bulgaria: con mezzo milione di euro Vincenzo Di Lauro, Colombo e sua moglie avevano messo in piedi in un capannone una vera e propria fabbrica di produzione di “bionde” destinate al contrabbando nazionale ed estero; esercizi commerciali (alcuni supermercati, un centro scommesse e persino una nota palestra); e un “core business” di marchi vari - primo tra tutti “Corleone”, oltre a quello di una bevanda energetica emblematicamente chiamata “9 millimetri” (come il calibro della devastante pistola) - soprattutto nel settore dell’abbigliamento.

 

A trovare nuovi sbocchi commerciali sarebbero stati, tra gli altri, proprio Tony Colombo e sua moglie Tina (vedova del boss Gaetano Marino).

Il prossimo 26 dicembre, al Palapartenope, è fissato un concerto evento del cantante da ieri in manette. Una coppia che fece parlare di sé nel marzo 2019, in occasione di un matrimonio-trash le cui immagini - rilanciate da social e tv - fecero il giro d’Italia: con tanto di corteo festante che paralizzò il centro cittadino di Napoli, gli sposi su una carrozza trainata da quattro cavalli bianchi, salutati all’ingresso da uno squillo di trombe suonate da cinque ispettori della Polizia penitenziaria (che vennero identificati, sospesi e poi licenziati). 

Il tutto, preceduto da una festa-concerto abusiva in piazza del Plebiscito. Nell’inchiesta condotta dai pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano, oggi i due sono accusati di concorso esterno in associazione mafiosa finalizzata al contrabbando: «Colombo e Rispoli - scrive il gip Luca Della Ragione, che ha firmato l’ordinanza di arresto - finanziando le iniziative economiche legali (imprenditoriali nel campo della commercializzazione di abbigliamento e di prodotti alimentari e di bibite anche con marchi propri) ed illegali (Tle e stupefacenti) favorivano il clan di Vincenzo Di Lauro, fornendo così un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, diretto a favorire il sodalizio criminale». 

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Dalle 1.800 pagine della misura cautelare emerge la pervasività e l’assoluto controllo delle attività illecite della cosca. Di qui la contestazione di reati, tutti gravissimi: associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, violenza privata, turbativa d’asta e contrabbando internazionale di sigarette. Sequestrati beni per otto milioni di euro. Dalle indagini è anche emerso il coinvolgimento e l’appoggio di rappresentanti delle forze dell’ordine: un presunto appartenente alla Guardia di Finanza non identificato («io avevo il finanziere che mi faceva uscire con il camion... quando passava si girava... lui prendeva 2.200 euro al mese», dice un indagato intercettato); e un autista applicato alla Procura distrettuale antimafia, Gennaro Rizzo, che - scrive il gip - «si metteva ad incondizionata disposizione nel compiere attività illecite a servizio del clan, dalla acquisizione di informazioni riservate presso gli uffici giudiziari di Napoli, al prestarsi come prestanome di attività funzionali al finanziamento del clan». Le indagini hanno fatto emergere poi anche lo spaccio di droga, estorsioni, minacce ai familiari di un pentito e anche agli imprenditori che partecipavano alle aste giudiziarie per costringerli a desistere.

Il clan fondato da “Ciruzzo ‘o milionario” sarebbe riuscito poi - grazie ai buoni uffici del clan Licciardi e della Vinella Grassi - anche a far revocare le richieste estorsive che altri gruppi camorristici imponevano agli imprenditori riconducibili alla cosca. Coinvolti anche alcuni imprenditori e professionisti. I fratelli Alessandro e Gennaro Nocera, i consulenti finanziari Pietro Granata e Mario Castelli della Futuro srl e gli esperti in aste giudiziarie Decio Silvestri e Massimo Landolfo.

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