Bambini bendati: «Ecco come si vive senza vista». A Napoli la campagna choc contro i botti killer

Bambini bendati: «Ecco come si vive senza vista». A Napoli la campagna choc contro i botti killer
di Maria Pirro
Domenica 22 Dicembre 2019, 11:49 - Ultimo agg. 13:40
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Meglio capire cosa si prova a perdere la vista o le dita prima che sia troppo tardi. Mancano ancora dieci giorni a Capodanno, ma i carabinieri ne parlano come di un dramma atteso e, assieme al parroco del rione Villa, preparano i ragazzi. Bendano cento bambini e adolescenti, dagli 8 ai 16 anni, che vivono nelle periferie più a rischio. Legano loro le mani con lo scotch perché possano sperimentare che vuol dire avere una menomazione tanto grave. Una simulazione, una lezione. Una strategia che vuole scatenare l'autodifesa anti-botti. Obiettivo è, appunto, quello di evitare incidenti con i fuochi di artificio. Dovuti a giochi proibiti.

Impegnati nella campagna di prevenzione, gli uomini della compagnia di Poggioreale, della stazione di San Giovanni a Teduccio e della sezione Investigazioni scientifiche (comando provinciale di Napoli, agli ordini del generale Giuseppe La Gala). I militari entrano in azione nella parrocchia San Giuseppe e Madonna di Lourdes e all'operazione partecipano anche numerosi genitori ed educatori e, ovviamente, il parroco Modesto Bravaccino. «Stress test» e non solo. Gli artificieri del nucleo anti-sabotaggio catturano l'attenzione dei partecipanti, raccontando anche le proprie esperienze. E proiettano i filmati che mostrano i danni causati dai petardi per mettere tutti in guardia dai pericoli dovuti all'uso incauto di quelli illegali. Quindi, spazio alle domande. Ed è evidente che c'è anche tanta disinformazione, soprattutto tra i giovani.

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Sono trentacinque i feriti registrati solo in occasione dei festeggiamenti 2018. Così suddivisi: ventidue a Napoli e tredici nell'hinterland. Per quanto grave, un bilancio in flessione rispetto all'anno precedente, con 46 ricoveri registrati in ospedale. Tra loro, un ragazzino di 13 anni che si è spappolato la mano destra, un 23enne che ha perso due dita e un 27enne che ha rischiato di perdere l'occhio. E l'elenco potrebbe continuare, come racconta l'ortopedico Leopoldo Caruso, in servizio all'ospedale dei Pellegrini e specializzato in chirurgia della mano.
«Uno dei due bimbi con le lesioni più profonde riportate un anno fa è ancora in cura da noi: lo abbiamo dovuto operare già cinque volte», avvisa il professionista. Suoi gli spot, nell'ambito della campagna sui traumi da petardo, che vengono trasmessi in questi giorni da radio e tv. «Mi occupo di prevenzione, in particolare nelle scuole, perché quella tra i 12 e i 18 anni è la fascia più colpita da lesioni gravi e danni permanenti. E gli incidenti peggiori in genere sono quelli del giorno dopo, quando i fuochi vengono raccolti da terra». Caruso mostra sempre le foto delle menomazioni, che ha pubblicato anche sul suo sito web. «Le immagini sono più eloquenti di qualsiasi mio discorso: un insegnante in una media di Monterusciello qualche anno fa svenne».

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Certo, non scarseggiano i fuochisti irriducibili. «Uno l'ho curato per due anni di seguito: si è spappolato prima una mano, poi l'altra», aggiunge l'ortopedico con amarezza, che ha elaborato anche un decalogo indirizzato proprio a chi vuole sparare per forza. Obiettivo: limitare i danni. Queste le regole principali: avere con sé un secchio d'acqua per bagnare i fuochi inesplosi in modo da evitare che possano essere riutilizzati o scoppino all'improvviso. Mai mettere cipolle e altri botti in contenitori di vetro: le schegge sono tremende. E attenzione agli indumenti: niente giacche a vento e guanti infiammabili, è utile avere gli occhiali. In caso di ferite, sciacquare la parte e solo dopo tamponare con garze sterili. «Bisogna prima far scorrere il sangue: serve a evitare che la polvere da sparo penetri nelle ossa e nei tendini, creando infezioni», chiarisce Caruso.
 


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Gli fa eco il medico Mariano Marmo. Per 18 anni di seguito, nella notte di San Silvestro, il professionista è stato di guardia al Cardarelli, il più grande del Mezzogiorno. «Ho visto arrivare vittime di tutti i tipi. La storia più atroce? Quella di uomo con la testa spaccata e il volto irriconoscibile a causa delle lesioni provocate dall'esplosione di un razzo posizionato in un tubo innocente. Era difficile anche intubare il paziente. Era il 1997 e allora arrivavano più napoletani con le dita messe in una busta di plastica per farsele riattaccare». Ma, per Marmo, la vera emergenza oggi è anche un'altra: l'intossicazione da bevande alcoliche. «Soprattutto tra giovanissime donne», avvisa.
 

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