Turismo congressuale, a Napoli le mani della camorra sul business ripartenza

Turismo congressuale, a Napoli le mani della camorra sul business ripartenza
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 2 Giugno 2021, 23:30 - Ultimo agg. 24 Marzo, 03:00
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Hanno seguito i soldi, fedeli alla principale traccia investigativa, quando si parla di camorra e affari criminali. E i soldi portano in due direzioni in particolare, grazie al ruolo di soggetti incensurati finiti da qualche tempo nel mirino del pool anticamorra: i soldi del clan Licciardi, perché è di loro che stiamo parlando, sono stati investiti nel congressuale (un ramo dell’alberghiero destinato a un grande sviluppo con la ripresa delle attività post covid), e nell’abbigliamento (anche qui, settore dato decisamente in rimonta, dopo la grande depressione della pandemia). Clan Licciardi e clan Contini, leggi Alleanza di Secondigliano, potente cartello che si contende fette di sovranità criminale al centro e nell’hinterland, grazie al lavoro pulito svolto da persone di fiducia. Chiara la strategia adottata dal gruppo di masseria cardone, che in questi anni ha attuato - si legge in una informativa di polizia giudiziaria - una sorta di mimesi: pochi omicidi, quasi sempre mirati, igienici, volti a ripulire le proprie fila interne senza sollevare troppo scalpore. Poi affari, solo affari, quasi sempre cuciti addosso a personaggi di fiducia poco conosciuti e comunque incensurati.  

Ed è così che in questo scenario, la Dda si è imbattuta nel ruolo di alcuni soggetti indicati come degni di attenzione: un dipendente pubblico, un imprenditore, un soggetto impegnato nel ramo assicurativo. Hanno contatti con la famiglia - parliamo sempre del clan di Masseria Cardone - e hanno svolto un ruolo nelle compagini societarie di un piccolo impero nel campo dell’immobiliare.

Soldi investiti nel congressuale, dunque, in un paio di realtà alberghiere che rimandano ad attività di donne e uomini cresciuti all’ombra della cosiddetta cupola di secondigliano. Alberghi in città e in provincia, agli atti della Dda ci sono nomi di incastri societari e prestanome: un piccolo impero costruito grazie alla sapienza di alcuni professionisti che da anni lavorano in modo pulito e alla buona dose di disponibilità delle cosiddette teste di legno. 

Attenti a non mettere a repentaglio la propria reputazione, a non inciampare in accuse di collusione, hanno svolto un ruolo decisivo nella grande opera di mimesi di una fetta di camorra cittadina. Inutile dire che su di loro si concentra l’attenzione investigativa, grazie a un pool di magistrati che punta a sradicare da Napoli una sorta di dinasty che si riproduce da anni. 

Mani sul congressuale e sulle griffe, proviamo a capire chi c’è dietro questa trama organizzata attorno al riciclaggio. Sanno poco di alta finanza, ma sono un motore economico. Sono i Licciardi, quelli di Masseria Cardone, a voler interpretare le mosse investigative più recenti. Passata dal potere di Gennaro Licciardi (morto nel 1994 in cella), a quello ipotizzato a carico della sorella Maria (scarcerata due anni fa, dopo essere finita in una inchiesta per alcune intercettazioni che la vedevano intervenire in alcune beghe con altre storiche famiglie), Maria Licciardi è libera e lontana dai riflettori. Niente violenza, poche chiacchiere. Difesa dal penalista Dario Vannetiello, ha visto evaporare le accuse della Dda culminate negli arresti (poi annullati) datati anno 2019.

Le hanno affibbiato nomi strani, a leggere le informative di pg e il lavoro che viene svolto sul suo conto: “Blody Mary”, la “piccolina”, per il fisico minuto e la sua tendenza a rimanere - tranne rari casi - volutamente sotto traccia ad accudire gli interessi familiari. Imprese, immobili, che - stando ai bene informati - fanno riferimento al ruolo di una incensurata, stretta congiunta della presunta madrina. Ma non ci sono solo investimenti nel campo degli alberghi, a scrutare le mosse degli investigatori. Un altro filone d’indagine riguarda il settore dell’abbigliamento, come hanno raccontato alcuni collaboratori di giustizia. Un settore che è cresciuto in questi mesi grazie a una tecnica che si è radicalizzata grazie ai “ragionieri” del clan Contini. 

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Come è entrato il clan nell’abbigliamento? Ne ha parlato recentemente Rosario Capozzo, pentito di Vasto Arenaccia: le sue dichiarazioni sono state depositate di recente nell’aula bunker del Tribunale di Napoli, dove si sta celebrando uno stralcio del processo alla Alleanza di Secondigliano. Come funziona l’affare? A Posillipo, al Vomero o a San Lorenzo - spiega il pentito - il clan si prende l’anima, nel senso che prima ti accarezza (offre sostegno ai negozi in difficoltà inserendo denaro cash nelle asfittiche economie delle imprese cittadine), poi pretende di entrare nella compagine societaria dell’azienda. Prima la carezza, poi l’anima - sempre per dirla con il pentito: sono i grandi affari della crisi post pandemia.

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