Tre nomi. Tre medici valorosi che hanno perso la vita sotto i colpi del Covid. Il presidente dell’Ordine, Bruno Zuccarelli, li ricorderà questa mattina, alle 10, nell’auditorium della sede ordinistica - al civico 9 della Riviera di Chiaia - in occasione della “Giornata nazionale del personale sanitario”. Una cerimonia commemorativa, quella organizzata dai colleghi di Napoli e provincia, dedicata ai tre professionisti deceduti nel corso del 2021: «Ricordiamo quanti di noi non ce l’hanno fatta, quest’anno e negli anni precedenti, - dice Zuccarelli - perché la memoria, e il loro esempio, siano una guida verso le nostre azioni future». Tre medici, dunque. Solo l’anno precedente, nel 2020, furono circa quaranta i sanitari morti a causa del Covid: «Dobbiamo ringraziare il vaccino, e ovviamente i mezzi di protezione, se il numero si è drasticamente ridotto - aggiunge il presidente - solo così la categoria è riuscita a mettersi, almeno parzialmente, in salvo». Una bordata ai No vax, e a quanti - pochi a dire il vero - nell’ambito dello stesso personale sanitario, continuano a opporre resistenza all’immunizzazione.
Ma torniamo ai tre professionisti che oggi saranno ricordati dal palco dell’auditorium davanti a una platea di camici bianchi, insieme con i loro familiari seduti in prima fila: Maria Teresa d’Istria, 66 anni, medico di medicina generale a Torre del Greco: il virus - raccontano i colleghi - ha inferto il colpo di grazia su una condizione di precedente “fragilità”; Bernardo Cozzolino, anche lui medico di base, a Ercolano, è rimasto ucciso dal Covid a 63 anni dopo essere stato ricoverato circa un mese in terapia intensiva al Cotugno. Il dottor Cozzolino, tra i più impegnati nella campagna vaccinale, quando si è ammalato aveva già ricevuto due dosi di Pfizer e - assicurano i parenti - non soffriva di patologie pregresse se non qualche piccolo acciacco dovuto all’età; Massimo Iacouzzi, napoletano, ginecologo all’Ospedale del Mare, 68 anni, era alle soglie della pensione, desideroso di godersi, finalmente, la famiglia e un po’ di tempo libero dopo una vita vissuta in prima linea nell’assistenza alle pazienti: «Gli mancava meno di un anno - racconta il figlio Valerio - purtroppo il virus è arrivato prima».
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Tra chi, questa mattina, racconterà la sua storia, c’è Alessandra Tedesco, da quasi vent’anni in servizio sulle ambulanze del “118”. «Quando è cominciata ancora non sapevamo che avremmo avuto a che fare con una epidemia più grande di noi, - spiega la dottoressa - ma ce ne siamo accorti molto presto. Si trattava di un nemico sconosciuto e invisibile. Il momento peggiore - aggiunge - lo abbiamo vissuto tra aprile e maggio, e poi novembre, del 2020. Ricordo una famiglia di tre fratelli, due uomini e una donna. Giovani, sotto i sessant’anni. Tre volte siamo tornati in quella casa, uno dopo l’altro li abbiamo soccorsi e trasportati in ospedale: i fratelli maschi oggi non ci sono più».
Subito dopo toccherà all’esperienza vissuta da Luca Scognamiglio, uno dei tanti giovani catapultati in prima linea dalla gravità della situazione. «Avevo 29 anni - dice -, dei primi giorni di lockdown ricordo ogni sensazione: il silenzio surreale delle strade, il suono delle sirene e anche la paura. Non tanto per me quanto per la possibilità di infettare i miei genitori. Per fortuna non vivevo più con loro, ma la preoccupazione non mi ha mai abbandonato». Luca ha da subito prestato servizio nelle Usca e oggi, a distanza di due anni, è consapevole di quanto sia stato grande «il sacrificio di chi ha pagato con la vita il giuramento prestato al termine degli studi». «È stata una scuola di vita - conclude -, un’esperienza dura, ma formativa che porterò sempre con me nel ricordo dei colleghi più anziani che non ci sono più».