Covid, un medico di Napoli: «Io, contagiato a Malta e salvato dal vaccino»

Covid, un medico di Napoli: «Io, contagiato a Malta e salvato dal vaccino»
di Ettore Mautone
Sabato 24 Luglio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 24 Marzo, 13:09
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Gian Paolo Ciccarelli è un medico, ha 30 anni, è a un passo dalla specializzazione in Pediatria, al Secondo Policlinico. Dopo un anno di lavoro in trincea presso l’hub Covid pediatrico, da vaccinato è andato in vacanza a Malta. Al ritorno ha scoperto di essere stato contagiato. Grazie al vaccino, l’infezione è durata pochi giorni e con le caratteristiche di un raffreddore.  

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Quando è tornato da Malta? 
«Quindici giorni fa.

Al rientro non mi sentivo in forma, pensavo fosse la stanchezza. Prima di riprendere il lavoro, ho fatto il tampone e ho scoperto di essere positivo. Ero già in isolamento quando il giorno dopo sono comparsi i sintomi di un forte raffreddore, un po’ di tosse, qualche decimo di febbre. Pochi giorni di isolamento e sono ritornato negativo». 

I suoi contatti stretti? 
«Una decina, tra amici e parenti con cui ho condiviso stanza, pranzi e cene. Ma sono risultati tutti negativi. Pur avendo mangiato con loro allo stesso tavolo o dormito nella stessa stanza». 

A Malta il virus circolava, c’erano diversi focolai.
«Sì, anche quando ero sull’isola ne ho sentito parlare ma non gli ho dato peso. Io e i miei amici abbiamo scelto Malta in quanto era l’unica meta turistica in cui tassativamente, anche ai vaccinati in ingresso, viene fatto un tampone molecolare».

Non è bastato... 
«Questo virus è contagiosissimo e ha una certa incubazione».

Cosa ha fatto sull’isola?
«Da vaccinati abbiamo fatto tutto ciò che era consentito: cene, gite in barca, aperitivi, balli in pista. Abbiamo anche festeggiato la vittoria dell’Italia, senza mascherine e senza distanziamento. Lo abbiamo fatto perché si poteva e ed eravamo vaccinati».

Ha avuto paura dell’infezione?
«Ho tremato al pensiero di poter essere la causa della morte dei miei genitori e dei miei nonni, o di contagiare altri amici. Lavoro in un luogo dove il Covid lo si combatte in prima persona, dove si osserva coi propri occhi la sofferenza di chi si ammala e la disperazione di chi non potrà più rivedere le persone che ama. Anche molti miei colleghi sono deceduti. Loro non hanno avuto il tempo per capire e non avevano l’arma del vaccino».

E chi non si vaccina?
«Se sei giovane e in salute e becchi il Covid probabilmente non muori. Ma puoi finire in ospedale o trasmettere il Covid ad altri. Grazie al vaccino questo rischio si riduce tantissimo, grazie al vaccino si guarisce. Perché un vaccinato non si contagia quasi mai e se si contagia non trasmette il virus. Quasi sempre».

Come si sente?
«Ora sto bene. La febbre è passata molto velocemente, non ho più la tosse e mi sento in ottima forma. Non ho dovuto neanche prendere farmaci». 

Cosa dice ai suoi coetanei che non intendono vaccinarsi?
«Non sapevo cosa fosse una pandemia prima che arrivasse. L’avevo solo studiata sui libri ma non mi è bastato per essere pronto quando poi è arrivata davvero. Anche io ero preoccupato quando mi sono vaccinato, perché solo i bambini non temono ciò che non conoscono. Poi ho studiato e dallo studio deriva la conoscenza e la fiducia. E soprattutto deriva la consapevolezza che il vaccino funziona quando ci vacciniamo in tanti. Anche i miei familiari si sono vaccinati e tutti i miei amici più cari. Non vaccinarsi significa vivere nel timore, rinunciare alle feste, ai drink, temere di poter essere responsabile della malattia negli altri. Chi è vaccinato, anche se è sfortunato come me e si contagia difficilmente trasmette l’infezione. Ed è un sollievo perché la vita degli altri vale almeno quanto la nostra. Vaccinarsi significa ricominciare a vivere la vita, abbandonarsi alle follie che caratterizzano i nostri anni. Bisogna farlo adesso, ora che la possibilità di ripartire dipende solo da noi». 

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