Un anno di pandemia in una chat di medici: circa 240 camici bianchi che si sono collegati in una rete di discussione comune attivata a Napoli il 18 marzo 2020 da Natale De Falco e Gabriele Poti. Lo scopo? Ragionare sulla pandemia in termini scientifici tra addetti ai lavori, uniti dalla comune formazione e dal fatto di lavorare chi in ospedale, chi nella rete del 118, chi nei distretti delle Asl o nel tracciamento dei positivi. Un fitto diario della pandemia a Napoli e in Campania visto con gli occhi di chi il nemico, almeno all’inizio, ha dovuto affrontarlo a mani nude, senza mascherine e senza mezzi ma con la consapevolezza che si trattava di un nemico mortale. Nelle discussioni si parla di tutto: dalle mascherine chirurgiche all’inizio spacciate per efficaci strumenti di protezione o come dispositivi di sicurezza, al disaccordo con l’Organizzazione mondiale della Sanità sulla presunta non contagiosità degli asintomatici che invece facevano aumentare esponenzialmente i nuovi casi ogni giorno, per finire con la intuizione della utilità della terapia con eparina dopo le autopsie “abusive” fatte in alcuni ospedali del Nord dove i morti erano tanti e nessuno sapeva cosa fare e come arginare il killer silenzioso. Esami autoptici dai quali emergevano i drammatici quadri di tromboembolia generalizzata, principale causa dei decessi da Covid nei pazienti infetti.
«La chat - avverte Natale de Falco, medico del territorio e dipendente della Asl Napoli 1 - ha permesso a più di 240 medici campani di tenersi informati e aggiornati su tutte le novità che sorgevano.
È il 24 marzo del 2021 quando due team di medici cinesi arrivati a Roma e Milano rilevano parecchie criticità nelle misure adottate contro il coronavirus in Italia: nella chat di medici napoletani c’è traccia dei commenti su quanto abbiamo ragione i colleghi provenienti dall’epicentro dell’epidemia. In particolare il personale medico italiano non veste tute protettive adatte previste dal loro protocollo. E si fa riferimento a chi, ancora, su giornali e social, sostiene che in pochi si ammalano ed è poco più che un’influenza. I medici osservano che nelle strutture molti, in particolare se non occupati in aree dedicate ai contagiati, girano senza alcun tipo di mascherina: mentre in Cina tutto il personale medico e paramedico, in qualsiasi ospedale e reparto, è stato dotato di dispositivi adatti con l’obbligo assoluto di indossarle, a prescindere dal ruolo svolto. Non a caso quando arriva un malato sospetto al Pellegrini, solo i familiari del malato indossano le mascherine. Ma ecco alcune chat del diario della pandemia.
A fine marzo A. M. è appena tornata da un supermercato: «I dipendenti avevano tutti i dispositivi Dpi che vengono negati a noi - dice la dottoressa - o siamo scemi noi o qui si fanno solo chiacchiere». Sono i giorni in cui i camici bianchi vengono osannati come eroi di una guerra senza fuoco de non quello sacro del giuramento di Ippocrate. «Che non ci paghi nessuno sinceramente non è una mia preoccupazione, perché se muoio alla mia famiglia non importa nulla dei soldi»; «ma voglio solo far notare - aggiunge un altro dottore - che chi non è in pericolo reale si protegge di più di chi sta in prima linea». Nelle settimane successive un chirurgo del San Paolo dice: «Ci sono 15 operatori positivi nel mio ospedale su 40 tamponi effettuati.
Si presume che siano molto di più. Forse da domani test rapidi per tutti il personale ma la frittata è fatta». Al Pellegrini, al Cardarelli al Cto stessa situazione: «Noi restiamo in casa ma adesso che è tutto chiuso (siamo in pieno lockdown da) i focolai più pericolosi stanno diventando gli ospedali e i lavoratori oltre a infettarsi rischiano di infettare gli ammalati e i loro familiari. Un’emergenza che rischia di creare un effetto domino devastante”. Un’emergenza che è durata fino a gennaio scorso quando sono iniziate le vaccinazioni». E il diario è ancora da aggiornare...