Covid, rabbia e speranza: un anno di lotta nelle chat dei medici in prima linea

Covid, rabbia e speranza: un anno di lotta nelle chat dei medici in prima linea
di Ettore Mautone
Mercoledì 24 Marzo 2021, 23:30 - Ultimo agg. 27 Marzo, 09:24
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Un anno di pandemia in una chat di medici: circa 240 camici bianchi che si sono collegati in una rete di discussione comune attivata a Napoli il 18 marzo 2020 da Natale De Falco e Gabriele Poti. Lo scopo? Ragionare sulla pandemia in termini scientifici tra addetti ai lavori, uniti dalla comune formazione e dal fatto di lavorare chi in ospedale, chi nella rete del 118, chi nei distretti delle Asl o nel tracciamento dei positivi. Un fitto diario della pandemia a Napoli e in Campania visto con gli occhi di chi il nemico, almeno all’inizio, ha dovuto affrontarlo a mani nude, senza mascherine e senza mezzi ma con la consapevolezza che si trattava di un nemico mortale. Nelle discussioni si parla di tutto: dalle mascherine chirurgiche all’inizio spacciate per efficaci strumenti di protezione o come dispositivi di sicurezza, al disaccordo con l’Organizzazione mondiale della Sanità sulla presunta non contagiosità degli asintomatici che invece facevano aumentare esponenzialmente i nuovi casi ogni giorno, per finire con la intuizione della utilità della terapia con eparina dopo le autopsie “abusive” fatte in alcuni ospedali del Nord dove i morti erano tanti e nessuno sapeva cosa fare e come arginare il killer silenzioso. Esami autoptici dai quali emergevano i drammatici quadri di tromboembolia generalizzata, principale causa dei decessi da Covid nei pazienti infetti.  

«La chat - avverte Natale de Falco, medico del territorio e dipendente della Asl Napoli 1 - ha permesso a più di 240 medici campani di tenersi informati e aggiornati su tutte le novità che sorgevano.

Abbiamo discusso di tutto, di terapie, analizzato linee guida che servivano e servono per la terapia dei pazienti e in questo mare di di informazioni che giungevano da tutte le parti non è stato facile anche per noi medici trovare una bussola per orientarsi tra vere e dalle false notizie». La diversa estrazione dei componenti il gruppo ha creato uno scambio di idee proficuo in cui tra ansie, paure, angosce per la potenzialità del Coronavirus emerge uno spaccato umano e professionale che è stato capace di farsi promotore, anche presso il livello politico e decisionale, di proposte migliorative della guerra ingaggiata contro Sars-Cov-2. Come il suggerimento di adottare la mascherina obbligatoria per tutti e non solo per gli operatori sanitari, nata proprio da un passaggio nella chat quando ancora si discuteva sulla sua utilità. Passando poi alla necessità di effettuare i tamponi agli asintomatici contatti di positivi (era il tempo in cui in Italia e in Campania si facevano pochissimi tamponi) per finire con i modelli di terapia a domicilio per evitare di riempire gli ospedali messa a punto proprio in questo scambio continuo di pareri e suggerimenti. 

È il 24 marzo del 2021 quando due team di medici cinesi arrivati a Roma e Milano rilevano parecchie criticità nelle misure adottate contro il coronavirus in Italia: nella chat di medici napoletani c’è traccia dei commenti su quanto abbiamo ragione i colleghi provenienti dall’epicentro dell’epidemia. In particolare il personale medico italiano non veste tute protettive adatte previste dal loro protocollo. E si fa riferimento a chi, ancora, su giornali e social, sostiene che in pochi si ammalano ed è poco più che un’influenza. I medici osservano che nelle strutture molti, in particolare se non occupati in aree dedicate ai contagiati, girano senza alcun tipo di mascherina: mentre in Cina tutto il personale medico e paramedico, in qualsiasi ospedale e reparto, è stato dotato di dispositivi adatti con l’obbligo assoluto di indossarle, a prescindere dal ruolo svolto. Non a caso quando arriva un malato sospetto al Pellegrini, solo i familiari del malato indossano le mascherine. Ma ecco alcune chat del diario della pandemia.

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A fine marzo A. M. è appena tornata da un supermercato: «I dipendenti avevano tutti i dispositivi Dpi che vengono negati a noi - dice la dottoressa - o siamo scemi noi o qui si fanno solo chiacchiere». Sono i giorni in cui i camici bianchi vengono osannati come eroi di una guerra senza fuoco de non quello sacro del giuramento di Ippocrate. «Che non ci paghi nessuno sinceramente non è una mia preoccupazione, perché se muoio alla mia famiglia non importa nulla dei soldi»; «ma voglio solo far notare - aggiunge un altro dottore - che chi non è in pericolo reale si protegge di più di chi sta in prima linea». Nelle settimane successive un chirurgo del San Paolo dice: «Ci sono 15 operatori positivi nel mio ospedale su 40 tamponi effettuati.

Si presume che siano molto di più. Forse da domani test rapidi per tutti il personale ma la frittata è fatta». Al Pellegrini, al Cardarelli al Cto stessa situazione: «Noi restiamo in casa ma adesso che è tutto chiuso (siamo in pieno lockdown da) i focolai più pericolosi stanno diventando gli ospedali e i lavoratori oltre a infettarsi rischiano di infettare gli ammalati e i loro familiari. Un’emergenza che rischia di creare un effetto domino devastante”. Un’emergenza che è durata fino a gennaio scorso quando sono iniziate le vaccinazioni». E il diario è ancora da aggiornare... 

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