Napoli, la seconda vita di Giovanni Villani: «25 anni da clochard, ora aiuto chi non ha casa»

Napoli, la seconda vita di Giovanni Villani: «25 anni da clochard, ora aiuto chi non ha casa»
di Nunzia Marciano
Sabato 11 Settembre 2021, 11:00 - Ultimo agg. 16:18
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Giovanni Villani ha 70 anni, gli ultimi 25 li ha trascorsi per strada, da senza dimora. Nato a Torre del Greco, cresce con un padre violento e senza nessun legame affettivo. Subisce il lutto della perdita di un figlio e nel 1996 muore sua moglie. Per Giovanni tutto smette di avere senso: inizia a bere, perde la casa e le viene tolta sua figlia Chiara, che all'epoca aveva solo 4 anni. Da pochi mesi Giovanni vive in una stanza piccolissima ma ben tenuta al pian terreno di una traversa di Calata Capodichino. Sul viso ha i segni del dolore ma anche la consapevolezza di potercela fare: «La strada mi ha insegnato ad aiutare gli altri», dice, «ma non ci tornerei mai più, piuttosto mi ammazzo».

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Come era la sua vita prima del 1996?
«Meravigliosa, con una moglie bellissima.

Ho avuto un'infanzia difficile: otto figli, senza affetto. Mio padre ci picchiava. Avevo 13 anni quando tornai a casa, e trovai mia madre insanguinata. Stavo per uccidere mio padre e così me ne andai. Mia moglie fu la mia salvezza. Nel 1981 nacque nostro figlio Gabriele ma morì dopo pochi giorni. A mia moglie fu detto che non avrebbe più avuto figli e invece a Maggio del 1992 nacque Chiara».

A quel punto, avevate tutto
«Avevo un negozio di restauro, sono un restauratore di mobili antichi. Ero felice».

E poi? Cosa accadde?
«Nel 1995 mia moglie mi disse di farci coraggio: aveva un cancro e pochi mesi di vita. Ero distrutto e iniziai a bere. Lei morì nel novembre del 1996. Io ero sempre ubriaco: persi la casa e persi mia figlia che fu data in adozione, portata in un'altra regione e non la vidi più. E così finì per strada».

Cosa faceva in strada? Come sopravviveva?
«Stavo nel dormitorio, all'epoca potevi restare quanto volevi e poi ho sempre trovato persone che mi hanno voluto bene. Ma bevevo, non capivo molto. Dopo un paio d'anni, nelle poche ore in cui ero più sobrio, iniziai a fare il restauratore per Livia Vannucchi, una marchesa, che è stata la mia benefattrice. Finito lì, facevo il parcheggiatore abusivo ma spendevo tutti i soldi per bere: alle 8 del mattino avevo già bevuto due bottiglie di cognac. Non mangiavo, pesavo 39 kg. Avevo 45 anni. Della mia vita non mi importava nulla».

Poi però qualcosa cambiò
«Sì, anni dopo ebbi una specie di visione: vidi mia moglie. Lei mi disse di smettere di bere. E io smisi».

Ma continuava a vivere per strada.
«Non potevo permettermi una casa. Provai a tornare in quella che era stata la mia casa, ma una parte della mia famiglia mi ostacolò e rinunciai».

Aveva più avuto notizie di sua figlia Chiara?
«No, non la vedevo da quasi 20 anni. Poi nel 2011 una mia nipote mi chiamò dicendomi che aveva rintracciato mia figlia. Avevo il suo numero, la chiamai e le chiesi perdono: piangemmo per un'ora».

Riusciste a vedervi?
«Non subito: nel 2015 ebbi un tumore e lo affrontai da solo. Ma il fatto di sentire mia figlia mi dava forza e ridava senso alla mia vita».

Era per strada, sempre da solo?
«Sì, e nel dormitorio. Ma avevo di nuovo persone che mi aiutavano, soprattutto il professor Carlo Antonio Leone presidente della fondazione Massimo Leone onlus. E anche Martina Piccirillo, operatrice della fondazione: è stata lei a ricontattare mia figlia e finalmente, dopo 20 anni nel 2015 l'ho incontrata! È stata una emozione fortissima. Ora ci sentiamo per whatsapp tutti i giorni».

Ora ha una casa ma qual era la paura più grande quando non l'aveva?
«Non si ha paura, perché chi sta per strada beve e non ha memoria. Non si rende nemmeno conto. È il vivere che ti fa paura, non la strada».

Cosa le ha insegnato questa vita?
«Mi ha insegnato a voler bene. Mi ha insegnato a voler bene. Potrei nascondere gli anni di alcolismo ma li uso come esempio; e adesso cerco di aiutare gli altri».

Ha paura di poter tornare in strada?
«No, perché piuttosto mi ammazzo. So quello che ho passato. E non lo passerò mai più». 

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