G20 a Napoli, il pm del Global forum 2001: «Tanti errori ma ora lo Stato è più forte»

G20 a Napoli, il pm del Global forum 2001: «Tanti errori ma ora lo Stato è più forte»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 22 Luglio 2021, 08:00 - Ultimo agg. 23 Luglio, 08:05
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Dopo Seattle e prima di Genova. Venti anni fa, a Napoli nacquero i no global (contro il forum governativo sull'ambiente), ci furono gli scontri di piazza, le perquisizioni e le violenze perpetrate da alcuni poliziotti all'interno della caserma Raniero. Una pagina rimasta scolpita nella coscienza del magistrato napoletano Marco Del Gaudio, all'epoca pm partenopeo (oggi in forza alla procura nazionale antimafia), che condusse le indagini approdate in condanne in primo grado a carico di alcuni esponenti della polizia (ma i reati si prescrissero in appello).

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Quei fatti evidenziarono le criticità nella gestione dell'ordine pubblico sui grandi temi globali. Cosa ricorda di quel periodo?
«Certamente vi fu una gestione, innanzitutto della manifestazione di piazza, almeno superficiale.

La sensazione fu che le violenze in piazza furono determinate anche dalla decisione di chiudere tutte le vie di uscita per i partecipanti, che in tal modo non riuscirono a sottrarsi alle cariche con la fuga. La scelta sembrò in contrasto con l'obiettivo strategico delle cariche della Polizia che, ovviamente, avrebbero dovuto mirare alla dispersione della folla. Ma la piazza ad un certo punto risultò effettivamente chiusa e la condotta delle forze dell'ordine fu indiscriminata, coinvolgendo nelle cariche anche molti manifestanti assolutamente pacifici e addirittura scolaresche che avevano partecipato alla manifestazione con gli insegnanti o con i genitori».

Cosa accadde dopo gli scontri di piazza?
«La decisione di prelevare arbitrariamente i manifestanti che si erano recati presso i pronto soccorso cittadini non tenne conto del fatto che - a recarsi presso gli ospedali furono essenzialmente i ragazzi più sprovveduti e non certo i violenti, che avevano invece approntato dei centri di auto-medicazione. Così alla caserma Raniero furono condotti quasi esclusivamente ragazzi molto giovani, del tutto estranei a qualunque forma violenta di protesta. Un altro errore che - a mio avviso - determinò indirettamente il clima presso la caserma Raniero, fu la scelta di inviare personale della Squadra Mobile, e non della Digos, una forza di polizia, quest'ultima, maggiormente specializzata nel governare situazioni simili».

Ci fu un processo e delle condanne a carico di funzionari di polizia, cosa è cambiato da allora? 
«L'indagine fu realmente complessa e fu gestita sostanzialmente in prima persona da me e dal collega Francesco Cascini, sotto le direttive dell'allora procuratore aggiunto Paolo Mancuso, senza particolari deleghe alle forze di polizia. Incontrammo molte difficoltà nell'accertare i fatti denunciati dalle numerose persone offese. Ma a differenza di quanto apparve all'epoca la mancanza di collaborazione della Polizia, che raggiunse l'acme nella protesta eclatante rappresentata da una catena umana di appartenenti alla polizia di stato che circondò l'edificio della Questura per impedire l'esecuzione delle misure cautelari - fu soprattutto iniziale e non generalizzata. La Digos e la Polizia Scientifica in effetti dopo le prime esitazioni fornirono un contributo per l'accertamento dei fatti e, dopo la chiusura dell'indagine, i rapporti istituzionali furono riportati ad un clima di grande collaborazione, anche grazie all'impegno del del dottor Mancuso, da tutti molto apprezzato, e del Questore Malvano, che subentrò al Dirigente precedente».

Cosa è cambiato rispetto a venti anni fa, a proposito di questo genere di reati?
«Il cambiamento più significativo è oggi dato dall'introduzione del reato di tortura o di trattamento degradante nei confronti di persone private della libertà personale. Direi che il processo ha contribuito a formare una coscienza diffusa circa la necessità di una tutela prioritaria dei diritti fondamentali dei cittadini, soprattutto quando si trovino in una condizione limitazione delle proprie libertà costituzionali».

Ha mai avuto la sensazione di aver condotto una indagine che metteva lo Stato contro lo Stato?
«Mai. Lo Stato non poteva che avere un interesse unico, ossia accertare se i diritti dei cittadini nella caserma Raniero - fossero stati pregiudicati, se le violenze di cui si parlava sui media fossero davvero avvenute e ad opera di chi».

Crede che oggi ci siano le stesse condizioni di malessere verso le istituzioni governative? 
«È certamente un momento di instabilità, accompagnata anche da una crisi economica, e credo che in alcuni settori dell'antagonismo e delle formazioni estremiste vi sia certamente una forte insofferenza per alcune inevitabili restrizioni che hanno caratterizzato l'ultimo periodo. Malumori che possono essere facilmente strumentalizzati per finalità diverse dalla protesta pacifica. Le forze di Polizia, le Procure della Repubblica - ed il nostro Ufficio su scala nazionale - stanno monitorando con attenzione questi fenomeni, per evitare che l'insofferenza si traduca in comportamenti aggressivi, anche organizzati».

Sarebbe auspicabile un confronto, non più processuale, su quella vicenda? 
«Credo sarebbe indispensabile. La memoria ha bisogno di essere alimentata dalla voce dei protagonisti, che ovviamente non sono i magistrati, ma i cittadini che hanno vissuto quel momento. So che esistono anche delle pubblicazioni, ma non basta. Forse è necessario che i giovani possano conoscere i fatti che condussero a quei comportamenti». 

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