Romeo, bocciato l'uso del trojan: «Quelle intercettazioni erano inutilizzabili»

Romeo, bocciato l'uso del trojan: «Quelle intercettazioni erano inutilizzabili»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 10 Ottobre 2018, 12:00
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Quelle intercettazioni erano inutilizzabili, non potevano giustificare un arresto. Quelle intercettazioni ottenute con un virus spia - il famigerato trojan - non potevano essere poste a fondamento degli arresti ai domiciliari dell'imprenditore Alfredo Romeo. E non è tutto. Pesanti rilievi sul Riesame di Napoli perchè non avrebbe esercitato in modo corretto ed esaustivo il ruolo di controllo, nel corso dell'inchiesta culminata un anno fa negli arresti bis dell'imprenditore napoletano. È solo una sintesi delle motivazioni con le quali i giudici della Cassazione avevano accolto il ricorso dei legali di Alfredo Romeo, rimandando al Riesame gli atti e chiedendo ai giudici napoletani una nuova valutazione del materiale indiziario raccolto dalla Procura di Napoli a carico dell'imprenditore partenopeo. Era l'otto marzo scorso, quando la Cassazione dava una sorta di spallata al modo in cui erano state confezionate le accuse a carico di Romeo. Oggi se ne conoscono i motivi, mentre lo scorso aprile era stato il collegio della prima sezione penale di Napoli a revocare gli arresti domiciliari in favore dello stesso Romeo.
 
Ma andiamo con ordine, a partire dal nucleo centrale del ragionamento fatto dagli ermellini: il virus spia trojan venne inoculato sull'utenza telefonica di Romeo, nel corso di indagini per fatti di camorra che vedono lo stesso Romeo completamente estraneo. Dunque, quelle intercettazioni sono viziate ab origine. Accogliendo il ricorso dei difensori di Romeo (gli avvocati Francesco Carotenuto, Alfredo Sorge e Giovan Battista Vignola), la Cassazione (sentenza 45486) ha così disposto l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al Tribunale del Riesame di Napoli, affinché dia adeguata risposta alle obiezioni dei legali dell'imprenditore. Ed è questo il punto principale: le intercettazioni con il virus trojan sono «inutilizzabili», dato che sono state disposte «senza una reale notizia di reato perché Romeo non era interessato dalle indagini di criminalità organizzata che si stavano compiendo in relazione all'appalto del servizio di pulizia dell'ospedale Cardarelli».

Poi il discorso cade sul provvedimento del Riesame di Napoli, che a dicembre del 2017 confermava gli arresti domiciliari che erano stati spiccati a carico dello stesso Romeo, coinvolto in alcune ipotesi di corruzione consumate a Napoli. In sintesi, i giudici della Suprema corte hanno convenuto sul fatto che parte delle intercettazioni sono state disposte nei confronti di Romeo «a prescindere dalla sussistenza di elementi indiziari nei confronti del soggetto intercettato», e che «a fronte di eccezioni puntuali della difesa, il controllo del Tribunale non risulta essere stato adeguato e la motivazione è fortemente carente». Per la Cassazione, occorre così una rivalutazione «della effettiva consistenza della base indiziaria richiamata dalla pubblica accusa a sostegno della richiesta di autorizzazione» ad intercettare, e «sulla indispensabilità» di tale mezzo di ricerca «in relazione alla specifica posizione che in quel momento doveva essere attribuita a Romeo», che non si sa se venne intercettato come indagato o come persona informata dei fatti.

Una vicenda complessa al termine della quale l'imprenditore napoletano era stato accusato in relazione ad alcune presunte dazioni di denaro in favore dell'ex funzionario dell'ufficio patrimonio del Comune di Napoli; o di aver offerto una vacanza in un albergo di lusso a Ischia a una funzionaria della sovrintendenza di Roma; o di altre presunte concessioni riservate a vigili o impiegati comunali in cambio di presunti vantaggi. Un materiale raccolto quasi esclusivamente grazie alle intercettazioni, nel corso di indagini che nascevano con il timbro della Dda di Napoli. E anche sulla tempistica delle procedure che i giudici si sono soffermati nel corso delle loro motivazioni.

È uno dei punti più discussi in sede di ricorso da parte delle difese: la Cassazione parla infatti di motivazione «viziata» anche con riferimento all'osservanza dei termini di durata delle indagini preliminari, e rileva che il Riesame «non ha fatto corretta applicazione dei principi» che regolano la materia. Adesso il Riesame, ordina la Suprema Corte, «verificherà se ed in che termini siano utilizzabili, rispetto ad ogni singolo reato, gli elementi indiziari derivanti da atti eventualmente compiuti dopo la scadenza dei termini di durata delle indagini preliminari». In sintesi, per ogni singolo capo di accusa, il Riesame deve valutare se sono stati rispettati i tempi imposti dal codice, ai fini della sostenibilità dell'accusa dinanzi ai giudici.

Soddisfazione da parte della difesa di Romeo. Spiega l'avvocato Sorge: «La Corte di Cassazione censura nuovamente, ed in modo probabilmente definitivo dopo la prima pronuncia di giugno dello scorso anno, non solo le intercettazioni e la durata infinita delle indagini in danno di Alfredo Romeo, ma la stessa metodologia investigativa utilizzata. Dai primi dati ricavabili è evidente che non esisteva alcuna notizia di reato che autorizzasse l'inizio delle indagini e certamente nulla che autorizzasse una durata delle stesse per oltre 4 anni. La difesa chiede ora uno stop per valutare in modo oggettivo cosa è stato fatto in modo regolare e cosa no, cosa è utilizzabile e cosa no, prima che l'indagine penale si trasformi in attività di spionaggio, al di fuori delle regole processuali».

Dello stesso tono l'intervento dell'avvocato Carotenuto, che sposta l'attenzione sul processo romano Consip, costruito con gli stessi metodi di indagine: «La Corte di Cassazione ha confermato la sussistenza di tutti i vizi di legittimità segnalati dalla difesa relativi non solo a tutte le intercettazioni ma all'intera indagine nel suo complesso. La decisione travolge quindi sia il processo napoletano sia il processo Consip innanzi al Tribunale di Roma».
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